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L’ansia climatica dilaga fra i giovani.

Intervista di Anna Magli a Dottor Matteo Innocenti, psicoterapeuta e psichiatra.

La paura per inondazioni, incendi e altri disastri ecologici dovuti al cambiamento climatico è una sensazione che colpisce soprattutto le generazioni più giovani. Ma non solo. Anche gli adulti provano sempre di più un senso di vero sgomento, consapevoli dei disastrosi effetti che anche le più semplici azioni quotidiane stanno avendo sul futuro del pianeta e su quello delle generazioni che verranno. I cambiamenti climatici sono già associati a un aumento dei tassi di stress post-traumatico, ansia e depressione: un circolo vizioso che non farà che peggiorare con il manifestarsi di impatti climatici sempre più evidenti. E’ da poco uscito un libro che descrive questa sensazione molto bene, ne cerca le motivazioni, suggerisce rimedi. Si chiama “Ecoansia:i cambiamenti climatici tra attivismo e paura” edito Erickson. Prendere coscienza della propria «ecoansia» è il primo passo per modificare radicalmente il proprio modo di vivere, così da trovare la consapevolezza di essere parte integrante del sistema ecologico. “Ecoansia”, dopo aver descritto le principali conseguenze psicologiche del cambiamento climatico, passa in rassegna le strategie che si potrebbero utilizzare per ridurne gli effetti sulla vita e la salute delle persone, sia quelle direttamente esposte a drastici mutamenti ambientali sia quelle che soffrono a causa dell’esposizione mediatica a essi. Ne parliamo con l’autore, il Dottor Matteo Innocenti psicoterapeuta e psichiatra.

Come definirebbe il neologismo ecoansia per chi non l’ha mai sentito nominare?
Ecoansia è uno stato emotivo a carattere pervasivo, persistente e generalizzato basato essenzialmente sulla sensazione che le basi ecologiche della nostra esistenza stiano venendo meno, siano minacciate dal loro principale carnefice che è il cambiamento climatico indotto dall’emissioni clima alteranti.

Quali sono le diverse conseguenze psicologiche sulle persone che soffrono di ecoansia?
A livello di conseguenze l’ecoansia è un’emozione e come tutte le emozioni è un mix tra pensiero e sensazione che fa percepire uno stato di apprensione che può essere continuo o variare in base alle notizie, alla giornata, agli eventi che accadono. Le sensazioni sono le tipiche dell’ansia, preoccupazione a fare delle cose, rimuginii nel pensare a su quello che potrà accadere, tendenza a ricondurre tutti gli stimoli che proviamo al cambiamento climatico e al suoi effetti. Non è una condizione patologica, è uno stato emotivo di tensione e preoccupazione razionale su qualcosa che sta succedendo qui e ora.
I giovani tendono a colpevolizzare le generazioni precedenti per gli esiti del cambiamento climatico?
Sì, a giusta ragione direi. Non è corretto parlare di colpa ma di responsabilità. Non è un’opinione ma un dato fattuale e scientifico che dalla rivoluzione industriale ad oggi c’è stato la più grande e massiva produzione di emissione di CO2 che ha causato tuto questo. Ogni anno registriamo un valore maggiore dell’anno precedente fino a quando arriveremo al picco massimo dopo il quale si spera che, con tutte le politiche intraprese, il valore cominci a scendere. Quindi, sicuramente, la maggiore responsabilità è delle generazioni precedenti e non di quella attuale.

L’ecoansia è un disagio che nasce da una presa di coscienza personale è più associabile ad un condizionamento esterno?
L’ecoansia è un’emozione che nasce a seguito di una presa di consapevolezza e quindi essenzialmente si può paragonare alla presa di coscienza di una malattia o di un’ansia di esame. Ciò che la determina è sempre la causa. Ciò che la può condizionare, aumentando la fiducia nel domani e dando più o meno ls capacità di controllarla, non è tanto ciò che genera consapevolezza ma la capacità gestionale dell’individuo di questa presa di coscienza. Per esempio, nelle generazioni più giovani influiscono i professori, i genitori, i media, il modo come queste notizie vengono riportate. Se una persona è incline all’ecoansia, ma gli sono date le risorse giuste per gestire le informazioni, anche i livelli di ansia possono diventare gestibili.

Quale ruolo gioca l’esposizione mediatica, a volta fin troppo pressante, poco documentata e terroristica?
Questa tipo comunicazione, negli Usa, viene definita dagli studiosi uno dei più grandi cambiamenti mediatici. Sul cambiamento climatico spesso è fallace perché o è terroristica o è frammentaria e poco scientifica. Essere equilibrati è molto difficile perché se si fa una comunicazione scientifica con dati certi, dati precisi , e si spiegano le cose con pacatezza e razionalità, si rischia di avere meno appeal nell’ascoltatore, si perde l’ascolto e non si carpisce l’attenzione. Occorre quindi trovare una via di mezzo tra le due cose, l’approccio scientifico e la sensazionalità. Vedo per esempio che sulle televisioni estere, quando viene trattato il cambiamento climatico, sono gli esperti ad essere coinvolti. Invitano nelle trasmissioni professionisti a cui viene data la giusta importanza e vengono selezionati in base all’argomento specifico su cui devono parlare, presentandosi con la giusta credibilità, In Italia invece siamo al punto in cui in alcune trasmissioni vengono coinvolte persone che esternano i più svariati punti di vista, magari anche negazionisti che dibattono sull’esistenza o meno del cambiamento climatico. Siamo ancora un po’ indietro.
Quali le strategie che si potrebbero utilizzare per ridurne gli effetti dell’ecoansia sulla vita e la salute delle persone?
Le strategie che proponiamo, dimostrate dagli studi che abbiamo condotto in questi anni di ricerca, ci dicono che per ridurre il senso di solitudine e di impotenza è molto utile unirsi, fare rete e quindi parlare con le persone che sono preoccupate come noi per il cambiamento climatico facendo attivismo, invitare le persone ad informarsi, a fare letture insieme. Tutto questo fa sentire le persone unite e aumenta anche il senso di efficacia di gruppo con l’invito a impegnarsi in attività ambientali. Un approccio di questo genere è utile per allievare il senso di colpa e aumentare i gesti che possiamo fare quotidianamente in senso pro ambientale: reciclare tutto, cambiare l’alimentazione, modificare le abitudini di mobilità. In ultima istanza, per aumentare il contatto con la natura , visto che ci sono studi che dimostrano che stare a contatto con la natura migliora ansia e stress , un invito ad utilizzare tutti i momenti libero per entrare in contatto con essa e fare attività all’interno della natura stessa. Con il nostro gruppo, l’Associazione Italiana Ansia da Cambiamento Climatico, organizziamo i Forest Bathing, una tecnica giapponese che consiste nell’entrare nel bosco, restarci il più possibile e pratica tecniche di rilassamento. Un consiglio che vale per tutti, anche per chi non soffre di ecoansia. Uscire dai centri urbani e riprendere contatto con la natura da cui si siamo allontanati.

Cosa servirebbe per tranquillizzare soprattutto le generazioni più giovani che sono anche le più sensibili e soggette ad ecoansia?
I livelli climatici sono suscettibili a tante cose, fra cui le decisioni dei politici, degli stakeholder e decision maker. Se i giovani percepiscono che le politiche ambientali hanno un buon andamento, si progredisce, ci sono risultati, i livelli di ecoansia si riducono perché le persone sono meno preoccupate del loro futuro.