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L’unicita’ dell’uovo di selva. Un ritorno all’origine dove le galline razzolano libere nel bosco.

Intervista di Anna Magli a Massimo Rapella, cooproprietario dell’attività a conduzione familiare La Gramola.

Si parla spesso del benessere di polli e galline, di emancipare la zootecnia per rendere più sostenibile la produzione avicola con abolizione delle gabbie e delle stragi di pulcini maschi. Siamo abituati a pensare alle galline come animali da cortile o libere in un prato, ma pochi sanno che questi animali hanno origine nelle foreste. Ecco perché un’azienda agricola valtellinese ha scelto il bosco come habitat per i suoi animali. Due ettari di selva, bagni di terra e di sole grazie ai quali possono mantenersi pulite e in salute, alimentazione ricca e sana sono gli ingredienti che servono per ottenere un uovo di selva. L’esperimento è stato avviato nel 2013 dalla La Gramola, attività a conduzione familiare di Massimo ed Elisabetta Rapella, nata come spazio terapeutico a servizio della loro comunità per minori, poi trasformata in produzione avicunicola. Tutto è iniziato con quattro galline, lasciate libere di razzolare in un castagneto a 600 m di altitudine. Chiediamo a Massimo di parlarci della nascita e dell’evoluzione del progetto.

Come vi è venuta l’idea di allevare le vostre galline in una selva?
Per 20 anni io e mia moglie abbiamo lavorato come educatori, gli ultimi 7 con un nostra comunità per minori fino a quando, nel 2008 è arrivata la crisi che ha tagliato i fondi sul sociale facendo sparire il 30% delle piccole comunità in Italia. In seguito, siccome avevamo comprato questa selva, che per i ragazzi che avevamo in affido era stato un importante spazio terapeutico, e possedevamo anche qualche gallina ,abbiamo provato a differenziare la nostra attività visto che non c’erano più fondi per avviare altri progetti. Le galline stavano da sempre tutto il giorno nel bosco, facevano le uova e tornavano spontaneamente a casa alla sera. Un comportamento che ci è sempre sembrato una piccola magia. Inizialmente doveva essere un’azienda agricola familiare in attesa che nel nostro settore qualcosa cambiasse, ma alla fine il progetto ci ha preso la mano. Abbiamo costruito un capannone, acquistato 700 galline e fatto un po’ di ricerca nella nostra zona, in Valtellina, scoprendo che non c’era nessuno che producesse uova biologiche. Avevamo un’idea completamente diversa dagli altri produttori di biologico e ci siamo detti che poteva davvero funzionare. Il nostro metodo fin dall’inizio, che è poi quello che utilizziamo anche oggi, è stato lasciare le galline nel bosco, raccogliere le uova entro 24 ore e, senza passare da negozi e distributori, creare un rapporto diretto con le persone. Quasi una condivisione di progetto con coloro che poi negli anni sono diventati più amici di clienti. Non abbiamo mai sentito il bisogno di fare pubblicità, anzi abbiamo fatto un marketing al contrario stando sempre un po’ nascosti, tenendo anche con i media un profilo basso perché ci pareva che andare in certe trasmissioni non fosse lo strumento giusto per veicolare il messaggio che volevamo dare. Non volevamo casse di risonanza su cui non avremmo avuto nessun controllo. Sono i clienti che vengono a cercarci, e a cui racconto le informazioni basilari, la nostra migliore promozione : le nostre galline razzolano libere nel bosco , fanno le uova, ti portiamo l’uovo a casa entro 24 ore e ovviamente siamo biologici certificati.

Le vostre galline trascorrono tutto il giorno nel bosco, non c’è pericolo che qualche animale selvatico faccia loro del male o depreda le uova?
Ci sono due capannoni e due ettari di bosco di castagni. Per 365 giorni l’anno, festività e feste comandate comprese, il pollaio viene aperto quando fa luce e le galline tornano autonomamente quando fa buio. A partire da dicembre quando ritornano alle 5 del pomeriggio fino a quasi le 10 sera in giugno. Le galline vivono nel bosco e sanno che il loro rifugio nel capannone è comunque aperto e possono scegliere, nel caso di pioggia, neve o vento, di tornare dentro al riparo. C’è da dire che essendo boschi fitti di castagni riparo ne trovano anche lì. Il bosco per la gallina è un habitat naturale perché è un animale che arriva dal sud est asiatico , un uccello di foresta, come il gallo forcello che vive in boschi o al limite della foresta, fra i 1.600 e i 2.000 metri di quota. Il prato non è, come pensano in molti, il loro habitat naturale: perché il prato è un ambiente morto. La gallina deve razzolare, fare delle buche. Nel bosco la gallina si rotola fra le foglie, si sdraia come i gatti a prendere il sole, fa i bagni di terra scavando buche da 20 o 30 cm. A volte, soprattutto razze come la livornese che sono più leggere, volano sui rami. Tutto questo movimento abbassa notevolmente l’ormone dello stress che invece è altissimo negli allevamenti intensivi. Per quanto riguarda i pericoli, bisogna dire che il bosco non è un ambiente sicuro per la gallina, nel senso che una volta la gallina stava nel bosco quando era in grado di difendersi da sola. Quando dormiva in cima agli alberi e aveva un temperamento più combattivo. Chiariamo un malinteso di fondo: la gallina come la conosciamo ora in natura non esiste, è un animale che abbiamo inventato noi uomini. La gallina è un uccello e gli uccelli fanno le uova una volta o due l’anno per riprodursi . Un uccello che ha un’iperproduzione di uova – fino ad arrivare a oltre 300 l’anno – è un genotipo che non esiste in natura. Il bosco è un ambiente dove la gallina sta bene perché è libera però non riuscirebbe a sopravvivere senza certi accorgimenti. Ci sono volpi, faine e altri mustelidi, poiane ecc… Noi abbiamo creato una sorte di equilibrio tra il bosco e l‘allevamento e per farlo ci avvaliamo dell’aiuto di una persona che deve sempre stare con le galline, una specie di pastore che le sorveglia e tre cani maremmani che fanno la guardia . Le volpi e gli altri animali del nostro bosco ormai sanno che non devono andare intorno alle galline e che è il loro è un territorio protetto. Per tutto questo complicato meccanismo che bisogna mettere atto, ritengo che rimarremo gli unici a portare avanti questo progetto dell’uovo di selva. La sfida, ma anche il cuore del progetto, è rispettare l’ambiente circostante e i ritmi delle galline, libere di razzolare nel bosco finché c’è luce e di ricoverarsi nel pollaio per la notte .

Di cosa si nutrono le galline nel bosco? L’alimentazione viene integrata con altri prodotti?
La gallina non può produrre l’uovo solo con l’alimentazione che trova nel bosco, che alla fine si riduce a qualche verme , foglie, bacche e castagne quando ci sono. La gallina se non mangia, e anche le cose giuste, le uova non le fa. Per questo nel bosco abbiamo piazzato campane con le granaglie giuste, certificate biologiche, a loro disposizione.

Che differenza c’è fra le loro uova e quelle ottenute con altri metodi di allevamento ?
Nel nostro tipo di allevamento il sapore dell’uovo cambia secondo le stagioni e molti altri fattori. Se la gallina ha preso freddo, cosa ha mangiato nel bosco ecc. Nei capannoni di allevamento invece il sapore dell’uovo è sempre uguale, perché seguono protocolli standard in termini di alimentazione, temperature e integratori. La differenza emerge però quando si va a utilizzare il nostro uovo come, per esempio, nella produzione di pasticceria. Alcuni clienti mi dicono che con le uova di selva le loro ricette hanno dovuto essere modificate perché ne usano esattamente la metà dato che “montano” il doppio delle altre. Fare un uovo ogni due o tre giorni è diverso da fare due uova, nel senso di deporre, in un giorno; come in certi allevamenti dove fanno cicli di illuminazione di sei ore per confondere i ritmi sonno/veglia ed indurle a produrre. Fare un uovo ogni due o tre giorni, come fanno le nostre, significa che il prodotto che si ottiene ha una consistenza diversa.

Hanno posti speciali nel bosco dove deporre le uova?
Fra le cose magiche che queste galline riescono a fare, c’ è quella di andare a deporre sempre nello stesso posto. Ci sono nidi in mezzo alle ceppaie, dove verosimilmente sono sempre le stesse galline che vanno a deporre. Fra loro si crea anche una sorta di contratto sociale che stabilisce determinate dinamiche per le quali, quando una è dentro, l’altra aspetta fuori il suo turno di deporre. E hanno tanto posto a disposizione, tanto che alcune parti del bosco non sono neanche frequentate.

Sempre in un’ottica di sostenibilità ambientale, sin dall’inizio La Gramola ha rinunciato al packaging tradizionale. Come confezionate le vostre uova?
Non abbiamo mai usato packaging anche perché le uova sono talmente belle che sarebbe un peccato nasconderle. Usiamo plateau di plastica rigida che sono consegnati al cliente e poi ritirati all’acquisto successivo e sostituiti con quelli pieni. La plastica, se viene utilizzata per decenni e in modo consapevole, è un ottimo materiale. Piuttosto che usare contenitori usa e getta che vanno a inquinare l’ambiente è meglio un plateau che nei decenni non si deteriora e che viene usato ripetutamente. La nostra diffidenza per il packaging tradizionale nasce dal fatto che molto spesso, a forza di perfezionarlo e abbellirlo, si vende più per la confezione che per il prodotto stesso che alla fine rimane nascosto. Si è persa la visione del prodotto per realizzare un packaging d’effetto. Il nostro “non packaging” vuole mettere a nudo la bellezza del prodotto, che non ha bisogno di essere valorizzato da un contenitore ma è bello nudo, così come è.

Voi ritenete che il vostro modello di allevamento sia replicabile, magari sugli Appennini? Di cosa dovrebbe disporre chi intende a produrre uova di selva?
Tecnicamente è possibile ma io ritengo che replicarlo possa togliere valore all’unicità del prodotto. Potrei anche provare a fare la stessa cosa negli Appennini, per dire, ma sarebbe comunque un prodotto diverso. Non è un caso che in dieci anni, anche se qualcuno ci ha provato, nessuno è riuscito ad ottenere lo stesso risultato. Per fare un esempio. Per normativa del biologico tu potresti tenere chiuse le galline per due terzi della loro vita. Quando per esempio le galline escono in estate, quando restano in selva dalle 5.30 alle 22, è necessario che ci sia una persona che resti lì con le galline e controlli che tutto sia tranquillo. Se io le tenessi dentro, potrei risparmiarmi di pagare una persona nei festivi Questo per dire che se credi in questo tipo di progetto, non basta il bosco , il terreno o tutto quello che si può replicare. E’ un progetto a 360 gradi, che comprende anche lo stile di vita di chi porta avanti il progetto, i sacrifici e questo non è replicabile.

Che fine fanno le vostre galline quando smettono di essere produttive?
Le galline hanno un ciclo di 15 mesi di deposizione , dopodiché la gallina è esausta e le uova prodotte non sono allo standard che abbiamo fissato. Perciò abbiamo costruito un nostro macello e provato a venderle. Sono state molto apprezzate dai ristoranti ma anche dai singoli clienti, soprattutto i più anziani, che hanno riscoperto sapori che non avvertivano più da decenni. Facciamo l’evento di vendita delle galline una volta l’anno e sono sempre tutte prenotate, perché il sapore della loro carne è prelibato. Galline carnose, che possono bollire ore senza disfarsi e anche con poco grasso. Ultimamente siamo riusciti a portare il loro ciclo di deposizione a 24 mesi facendogli fare un riposo produttivo, che è poi quello che loro fanno in natura: 15 giorni in cui si mettono a riposo, adottando una dieta particolare, un tempo che gli consente riprendere forza e gli consente di incrementare la loro vita produttiva altri 7 mesi. E’ comunque un procedimento assolutamente naturale che loro mettano in atto in modo spontaneo.
Le uova di selva si sono dimostrate un prodotto di alta qualità, ricco di proteine, dal gusto più delicato con un tuorlo più consistente, dato dalla minore quantità di albume, e con contenuti leggermente inferiori di grasso e colesterolo. Uova che hanno conquistato i tanti ristoratori clienti fissi dell’azienda di Morbegno, che ne hanno fatto elemento base di piatti studiati appositamente per arricchire la loro offerta culinaria.