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Anche il mercato del lavoro si scopre sempre più green. I lavori e le posizioni più richieste dalle aziende.

La bella notizia è che abbiamo un mercato del lavoro sempre più “green”. Quella cattiva è che non ci sono abbastanza professionisti per soddisfare la domanda. Lo dice la tredicesima edizione del rapporto GreenItaly 2022, redatto dalla Fondazione Symbola con Unioncamere. Documento da cui emerge anche che l’occupazione green è maggiormente diffusa al nord-ovest (32,9%), seguono il nord-est (23,9%), il sud (22,2%) e il centro (21%). Altro dato interessante, di cui parleremo più avanti, è che dirigenti, impiegati e operai in tutto il mondo stanno migrando dal settore dei combustibili fossili verso lavori connessi all‘energia rinnovabile. Nell‘ultimo anno i green job o posti di lavoro “verdi” sono arrivati a sfiorare solo in Italia i 3,1 milioni di unità, un dato stimato progressivamente in crescita nel prossimo futuro. Insomma, il cambio di tendenza c’è. Come dimostra, per esempio, il tasso di occupazione nel settore dell‘energia eolica, che è cresciuto di quasi il 20% dal 2016 al 2021, raggiungendo oltre 113mila lavoratori. E ancora, il fatto che i lavori green sono più stabili rispetto agli altri: il 24% del totale dei contratti previsti in entrata è a tempo indeterminato, rispetto al 13% delle professioni non green.
Questa evoluzione verso i lavori legati alla tutela dell’ambiente e della sostenibilità ha però un grosso limite “La transizione green sta arrancando nel mondo del lavoro, soprattutto in termini di politiche governative ad hoc”, ha detto Adalberto Perulli, ordinario di diritto del lavoro nell’università Ca’ Foscari di Venezia. “Manca un sostegno politico, sia negli Stati Uniti, sia in Europa. La nuova offerta di lavoro green arriva da aziende e imprenditori, che hanno capito il momento storico e la necessità di cambiare filosofia produttiva, non grazie al cambio di rotta radicale dei governi.
Dalla stessa indagine di Symbola emerge come le imprese sperimentino una maggiore difficoltà nel trovare professionisti esperti del mondo green rispetto ad altri mestieri: criticità che riveste grande importanza nel processo decisionale delle istituzioni. Secondo un sondaggio della Banca Europea, gli investimenti nella tecnologia verde dell‘Ue sono frenati dalla mancanza di lavoratori qualificati. Una mancanza di competenze, in particolare nei settori dell‘ingegneria e del digitale, sta impedendo la realizzazione di progetti che mirano a contrastare il cambiamento climatico.
Secondo le ultime rilevazioni, sui green jobs abbiamo seri problemi di formazione, mancano, infatti, all’appello 15 mila tecnici e 30 mila ricercatori.
Fra i lavori con competenze green, come emerge dal rapporto, le dieci figure professionali più richieste sono: responsabile vendite a marchio ecologico, riparatore di macchinari e impianti, installatore di reti elettriche a migliore efficienza, informatico ambientale, esperto di marketing ambientale, ecodesigner, muratore green, esperto in gestione dell‘energia (ingegnere energetico), certificatore della qualità ambientale e installatore di impianti di condizionamento a basso impatto ambientale.
Un’altra posizione fondamentale, che per fortuna comincia a farsi strada anche nelle piccole aziende, è quella Sustainability Manager (Manager di Sostenibilità) una figura professionale “poliedrica”, “trasversale” e dalle molte specificità a cui fa capo la gestione dell’impatto che un’organizzazione ha dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Il Manager di sostenibilità è’ in possesso sia di competenze manageriali e tecniche (che vanno dalle capacità organizzative alla leadership) sia di competenze sociali e soft (ovvero capacità relazionali e di comunicazione). Si occupa di garantire la conformità alle normative ambientali, energetiche e di sicurezza, è alla continua ricerca di politiche e iniziative sostenibili, persegue il raggiungimento di obiettivi misurabili in performance e stimola la sensibilizzazione alla sostenibilità sia all’interno che all’esterno dell’azienda, contribuendo a creare una comunicazione ben strutturata.
Una volta individuati quali sono i mestieri green più richiesti, come invertire questa tendenza e sopperire alla mancanza di personale? Attraverso la formazione: per fortuna sono sempre meno gli studenti che si iscrivono ai corsi di ingegneria petrolifera, preferendo invece materie di studio collegate al mondo dell‘economia circolare e alla sostenibilità. Occorre inoltre avvicinare scuola e imprese, il mondo della formazione ha un ruolo fondamentale, orientando gli studenti verso i green jobs. È importante, da una parte, che gli studenti conoscano quali sono le professionalità che verranno sempre più richieste dalle imprese della transizione energetica, dall’altra è necessario fornire ai ragazzi le competenze e le capacità per poter scegliere, in base alle loro personali inclinazioni, verso quale tra queste figure professionali orientarsi.
E’ interessante segnalare poi come ci sia un’inversione di tendenza che indica come , per quanto riguarda le persone già inserite nel mondo del lavoro, le cose stiano cambiando. Sempre più persone passano al settore della sostenibilità arrivando da altri campi anche se non sono abbastanza rispetto a quelli che servirebbero.
Questa migrazione, che attraversa un po’ tutti i paesi industrializzati, riguarderebbe soprattutto chi è impegnato in compagnie petrolifere, che lascia il suo lavoro per dedicarsi in aziende legate alla salvaguardia del pianeta, l’economia circolare, la sostenibilità, le fonti di energia rinnovabile. Secondo l’agenzia Bloomberg Green, si tratterebbe di un “grande addio” (big quit), o di “dimissioni di massa” (great resignation) mosse non solo dal desiderio di avere una qualità della vita migliore ma anche di esser impegnati in un settore che intende fare qualcosa per rallentare le emissioni di gas serra. Sono stati chiamati “climate quitters”. La International Energy Agency (Iea) a settembre ha certificato che ormai ci sono più persone impegnate nel settore “clean tech”, tutto ciò che riguarda l’innovazione sostenibile, di quante lavorano per compagnie petrolifere. Negli Usa, per alcuni casi dietro a certe scelte ci sono vicende personali. Alcuni di loro hanno avuto infatti la casa distrutta da un tornado trovandosi nella condizione di rifugiati climatici. Capendo che l’innalzamento delle temperature non poteva più essere ignorato hanno deciso di cambiare mestiere. Difficile però stabilire con esattezza le singole motivazioni dietro al fenomeno del “grande addio” in generale e in particolare rispetto al cambiamento climatico. L’emergenza sanitaria ha spinto molti a riconsiderare la propria esistenza e i suoi equilibri, ma guardando i dati ogni semplificazione sembra azzardata. Qualcuno parla di “grande ricombinazione” sottolineando che in alcuni casi si tratta di persone che hanno lasciato un impiego per trovarne un altro in una dinamica abbastanza tradizionale. Eppure anche in questo caso le cifre relative a questo passaggio da una poltrona ad un’altra non giustificano l’entità del mutamento.
In Italia non sono ancora state condotte ricerche specifiche in merito ma certamente qualcosa si muove. La sostenibilità è un settore che attira molti investimenti e di conseguenza anche persone. Quel che forse dovrebbe attirare più l’attenzione è il capire se abbiamo un numero sufficiente di persone con le giuste competenze. Le storie raccolte da Bloomberg Green parlano quasi sempre di persone che hanno avuto la forza non solo di dare le dimissioni ma anche di mettersi studiare per trovare una nuova collocazione nell’economia verde.
Le università italiane si stanno muovendo. Fra corsi di laurea, dottorati e borse di ricerca, si moltiplicano gli atenei che mettono al centro l’ambiente unendo diverse discipline. A giugno 2022, su tutto il territorio nazionale ne sono stati contati 224. Un buon segno, a patto di continuare su questa strada.

Fonti:
Symbola Rapporto GreenItaly 2022
Repubblica Green&Blu vari articoli