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I DIRITTI DELL’AMBIENTE IN TRIBUNALE

La storia di GIUDIZIO UNIVERSALE

Lo scorso luglio, in Ecuardor, è stata emessa una sentenza che farà storia: sono stati infatti riconosciuti lesi i diritti di un corso d’acqua, il  Machángara.  A seguito di un’azione di tutela presentata da tre cittadini e tre avvocati, che denunciavano un altissimo livello di contaminazione del fiume che attraversa la capitale Quito, il fiume stesso è stato considerato una vittima, ma anche i 54 torrenti e ruscelli che confluiscono nel Machángara, così come sono state identificate vittime indirette le persone che vivono nella zona e le piante e gli animali che dipendevano dal fiume. Il tribunale ha dichiarato che il Comune di Quito è «responsabile delle violazioni dei diritti del fiume Machángara» e ha ordinato l’implementazione immediata di un piano di decontaminazione.

L’Ecuador è stato il primo Stato al mondo, nel 2008, a includere nella Costituzione i diritti inalienabili della natura. Successivamente hanno intrapreso la stessa strada altri Paesi latinoamericani come Bolivia, Messico e Colombia mentre, in altre parti del mondo, sono state emanate leggi appositamente per i fiumi. La Nuova Zelanda, ad esempio, ha deciso di accordare al fiume Whanganui, sacro al popolo Maori, e ai suoi affluenti lo status di persona giuridica.

Sono 35 i paesi che, in tutto il mondo, hanno riconosciuto in qualche forma i diritti della natura nei loro sistemi normativi.

In Italia, il riconoscimento giuridico dei diritti della natura resta una sfida complessa che sta però prendendo identità in determinate situazioni locali. Un esempio concreto sono i cosiddetti contratti di fiume, oggetto di un partenariato pubblico-privato, che mettono il fiume al centro e considerano il benessere del fiume come benessere sociale. Un altro esempio è la prospettiva dell’ecological restoration che si sta promuovendo a livello dell’Unione Europea e che ha come focus il ripristino di ecosistemi, cioè interventi che diano la capacità agli ecosistemi di rigenerarsi e di prosperare in maniera equilibrata con l’essere umano.

Attualmente, però, l’ordinamento giuridico italiano non prevede il riconoscimento della natura come soggetto di diritto autonomo, essendo ancora fortemente radicato in una visione antropocentrica.

L’avvocato Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali, sottolinea che, persino nelle leggi contro il maltrattamento degli animali, i diritti non siano riconosciuti agli animali in quanto tali, ma piuttosto per evitare di offendere la sensibilità umana.

Secondo Saltalamacchia, in Italia, un riconoscimento giuridico della natura richiederebbe una profonda revisione delle leggi esistenti, soprattutto in funzione degli innegabili effetti e conseguenze del cambiamento climatico.

Con questo obiettivo, il legale sta lavorando al deposito dell’atto di appello per la causa sul clima, la prima contro lo Stato italiano, che ha lanciato nel 2021 come membro di “Giudizio Universale”. Causa che il Tribunale ha giudicato inammissibile per difetto di giurisdizione: nel nostro Paese, al contrario di quanto accade in altri Stati europei, non esisterebbero infatti tribunali in grado di esprimere un verdetto su questo tema.

Che cosa è Giudizio Universale? Giudizio Universale è il nome della campagna di sensibilizzazione che dal 2021 ha lanciato in Italia la prima causa legale climatica italiana, con l’obiettivo di costringere lo Stato ad agire per fermare la crisi climatica in corso. Il 13 settembre 2024 si è svolta la terza udienza del procedimento, depositato presso il tribunale civile di Roma nel 2021 e promosso da oltre 200 ricorrenti, tra cui 17 minori e 24 associazioni. I ricorrenti sono assistiti da un team legale composto da avvocati e docenti universitari fondatori della rete di giuristi Legalità per il clima.

La richiesta si concentra sul riconoscimento delle responsabilità dello Stato, accusato di “inazione climatica”, e sull’imposizione di target nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra più ambiziosi. In modo da garantire anche la tutela effettiva dei diritti umani per le presenti e le future generazioni, così come sancito dalla recente modifica costituzionale dell’art.9.

Dopo una sentenza di primo grado deludente e in controtendenza rispetto ai trend di altri paesi europei, i ricorrenti di Giudizio Universale tornano in tribunale. Questa volta a discutere e decidere sulla sentenza di inammissibilità per “difetto assoluto di giurisdizione” della giudice di primo grado sarà la Corte d’Appello del Tribunale Civile di Roma.

«Contrariamente a quanto stabilito da diversi Tribunali europei, il Tribunale di Roma ha sostenuto l’inesistenza del diritto dei ricorrenti a chiedere di essere tutelati dalle conseguenze dell’emergenza climatica e l’insindacabilità delle scelte dello Stato italiano in tale ambito, in nome della separazione dei poteri» ha commentato il team legale a margine del deposito dell’atto di appello.

 

 

All’atto di appello è stato allegato un nuovo report scientifico “Estimates of fair share carbon budgets for Italy” commissionato dall’Associazione A Sud a tre scienziati del clima di fama internazionale: Setu Pelz, Yann Robiou du Pont e Zebedee Nicholls.

 

La ricerca analizza il carbon budget dell’Italia, comparandolo al limite di riscaldamento globale di 1,5°C. Il team di scienziati ha utilizzato gli approcci metodologici basati sull’equità utilizzati dall’ ESABCC (il Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici).

Il Carbon Budget di uno specifico paese è la quantità massima di emissioni cumulative nette di CO2 di origine antropica che il paese in questione può ancora emettere in atmosfera senza compromettere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a un dato livello (nel caso del report, 1,5°C a fine secolo). Questo calcolo tiene conto di diversi elementi, tra cui le responsabilità storiche emissive. Il dato che emerge dal report è univoco: secondo tutte le metodologie utilizzate, dalla più alla meno permissiva, gli scienziati confermano che l’Italia ha già esaurito il suo carbon budget (a seconda delle metodologie la data varia dal 2017 al 2023 come anno di riferimento per l’esaurimento della quota di emissioni nazionali compatibili con i target di Parigi).

Salvo rinvii, la prima udienza dell’appello è stata fissata per il 29 gennaio prossimo.