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La nostra priorità è l’emergenza climatica.
Che cosa abbiamo fatto e cosa stiamo facendo nella nostra Regione per favorire la transizione ecologica e la transizione energetica.

Intervista di Anna Magli a
Silvia Zamboni è Vice Presidente dell’Assemblea legislativa della Regione
Emilia-Romagna e Capogruppo di Europa Verde.

Silvia Zamboni, laureata in filosofia, giornalista professionista specializzata in tematiche ambientali, ha collaborato con trasmissioni Rai radiofoniche e televisive e diverse testate giornalistiche. È autrice di alcuni libri di approfondimento sulla green economy, la transizione energetica, la mobilità sostenibile, l’Unione europea. Già assessora all’Ambiente, Politiche giovanili e Protezione civile del Comune di Bologna, da febbraio 2020 è Vice Presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna e Capogruppo di Europa Verde.

La nostra prima domanda è afferente al suo ruolo amministrativo. Quale è la visione del suo partito sulle tematiche ambientali relative alla Regione Emilia-Romagna. Quanto si è fatto e cosa si potrebbe fare di più.
Tutta l’attività relativa alle politiche ambientali deve avere come orientamento l’emergenza climatica: la grande pressione a cui siamo tutti sottoposti e che dobbiamo tenere sempre ben presente. L’emergenza climatica, la transizione ecologica e la transizione energetica devono essere le stelle polari che guidano le azioni della Regione. Cosa sta facendo ora la Regione in questo senso? Cominciamo dal piano regionale integrato dei trasporti. Noi, come Europa Verde, abbiamo votato contro perché è un piano datato che nasce nell’altro secolo e che guarda ancora alla costruzione di infrastrutture quando invece, oggi, bisogna puntare a una mobilità che contrasti le emissioni climalteranti. Siamo una regione che è sotto infrazione della Corte di Giustizia Europea per il superamento delle emissioni di polveri sottili, infrazione che si è verificata in più anni consecutivi, e non possiamo continuare con le vecchie politiche. Ora stiamo analizzando il prossimo piano energetico e da lì bisogna ripartire, dandosi degli obiettivi coerenti con la lotta ai cambiamenti climatici.
La Giunta e l’Assemblea legislativa hanno approvato il Patto per il Lavoro e il Clima che si dà un obiettivo molto stringente, che vuol dire energie tutte da fonti rinnovabili al 2035. Per arrivare a questi livelli bisogna correre, molto di più di quanto facciano aziende come Hera, una delle tante multiutility della nostra regione (insieme a Iren), che vende l’elettricità con un mix energetico dove solo il 29% è di fonte rinnovabile quando il mix energetico nazionale supera già il 40%. Al momento non siamo sulla strada giusta, c’è molto da fare. Entro quest’anno approveremo anche il nuovo piano rifiuti, un altro dei settori molto legato all’economia circolare che ci permette di fare il minor uso possibile delle risorse naturali e materiali per evitare di consumare in natura. L’altro punto interessante di cui ci siamo occupati è quello che riguarda l’agricoltura, che ha un sensibile impatto sul clima e sull’ambiente. Occorre quindi intervenire, e gli obiettivi che ci siamo dati sono di arrivare almeno al 25% di agricoltura biologica al 2030. Dagli ultimi dati si vede che c’è un aumento delle imprese di trasformazione biologica e commercializzazione con i fatturati che aumentano. Il 30% dei fondi che ha messo a disposizione la Regione andava proprio verso il settore biologico. Queste sono le direttrici su cui bisogna agire in maniera coerente. La cosa fondamentale è mantenere la coerenza nelle azioni che si intraprendono. Non si può dichiarare l’emergenza climatica, come ha fatto la Giunta nello scorso mandato, e poi portare all’approvazione dell’Assemblea un piano integrato dei trasporti che non tiene conto dei nuovi obiettivi della Legge europea sul clima.

Nell’ambito del vostro operato quali sono le più recenti proposte che avete portato all’attenzione dell’Amministrazione Regionale sui temi di transizione ecologica, rinnovabili e green economy?
Come consiglieri regionali abbiamo fondamentalmente tre strumenti: le interrogazioni, che possono servire alla Giunta da sprone a determinate azioni o per avere delle informazioni. Poi ci sono le risoluzioni, che sono atti di indirizzo che vengono approvati dall’Assemblea legislativa e che quindi vincolano la Giunta a rispettare determinati impegni inseriti nella risoluzione. Il terzo strumento è quello dei progetti di legge: sia la Giunta che i consiglieri possono presentare progetti di legge.
Iniziamo dalle interrogazioni. Abbiamo chiesto alla Regione che si doti di un metodo per analizzare in modo preventivo gli impatti degli atti di programmazione che approviamo. Per tornare all’esempio di prima, se noi facciamo degli atti di programmazione per ridurre le emissioni climalteranti e poi, come nel caso del piano trasporti, ne realizziamo uno che non tiene conto degli obiettivi che ci siamo posti, non c’è evidentemente coerenza fra gli atti. Da qui la richiesta di fare una valutazione preventiva degli atti di programmazione. Un’altra interrogazione riguarda sempre una valutazione preventiva, questa volta relativa al genere. Cioè abbiamo chiesto di valutare quanto le delibere e gli atti di programmazione che vengono approvati incidano a favore del superamento delle disparità di genere. Di recente ci siamo anche occupati dei criteri di distribuzione dei fondi messi a disposizione del PNRR: abbiamo infatti chiesto che si introducano nei bandi regionali criteri premianti le imprese che al proprio interno promuovono la parità di genere. Questo perché oltre che l’ambiente teniamo sempre molto sotto controllo le questioni della parità di genere, anche alla luce delle indicazioni che abbiamo avuto dall’Europa nella gestione del PNRR, che prevede la digitalizzazione, la transizione ecologica (green deal) e come obiettivo trasversale il superamento dei gap di genere.
Per quanto riguarda le risoluzioni presentate da Europa Verde, cito le più significative tra quelle approvate dall’Assemblea legislativa. Abbiamo chiesto alla Giunta di lavorare e mettere a disposizione delle risorse per la formazione dei cosiddetti “green manager”, ossia figure complesse che si intendono di mobilità sostenibile, di energia sostenibile di acquisti verdi.
Di recente è stato approvato un nostro atto che impegna la Giunta a prevedere sistematicamente – nei prossimi bandi regionali volti ad assegnare contributi o a concedere agevolazioni per la riqualificazione e/o la nuova edificazione di infrastrutture di edilizia ad uso pubblico – criteri di premialità volti al perseguimento dell’efficientamento energetico e alla promozione dell’impiego delle energie e tecnologie rinnovabili.
Un’altra risoluzione riguardava l’installazione del fotovoltaico nelle discariche esaurite. Inoltre, ci siamo occupati di mobilità ciclistica, e quindi della rete delle ciclovie regionali o di interesse nazionale perché promuovano il turismo dolce, leggero. Turismo che porta ai circuiti non di massa e che fa conoscere i borghi, le eccellenze enogastronomiche del territorio. Ci siamo impegnati anche per il superamento del glifosato in agricoltura. Un traguardo ambizioso perché il diserbante glifosato è ormai diffuso su tutto il territorio. Per quanto riguarda la mobilità, abbiamo lavorato per indirizzare gli investimenti della Giunta verso il rinnovo delle flotte di bus con mezzi elettrici, eliminando gradualmente quelli a diesel e a metano.
Abbiamo presentato tre progetti di legge molto importanti. Uno per favorire e promuovere la nascita dei biodistretti, associazioni di produttori che attuano nell’agricoltura o nella zootecnia il metodo biologico mettendo al bando i prodotti chimici. Una forma organizzata di produzione biologica e comunità virtuose che favoriscono la cultura del territorio e sviluppano attività economiche a basso impatto ambientale. Un altro per promuovere la raccolta dei rifiuti organici (alimentari e verde) per fare compost, ed un altro ancora per diffondere la vendita dei prodotti sfusi e alla spina in modo da ridurre il packaging che è una delle fonti maggiori di rifiuti abbandonati e di produzione di rifiuto.

Fra i suoi ultimi interventi in Assemblea Legislativa c’è quello sulle azioni di prevenzione sui dissesti idrogeologico e sicurezza del territorio. Per quanto riguarda il nostro Appennino, quali sono secondo lei le situazioni che meritano più attenzione?
Il dissesto idrogeologico è causato soprattutto dall’assenza di manutenzione e cura del territorio: montano o di pianura, il problema è sempre quello. In montagna c’è un fattore che contribuisce ad aggravare il dissesto idrogeologio ed è lo spopolamento; oltre, ancora una volta, all’incidenza dei cambiamenti climatici. Quindi, quando abbiamo un lungo periodo di siccità seguito da piogge torrenziali, è chiaro che ci sono degli squilibri che vanno a incidere, perché il terreno non è più così preparato ad assorbire dei quantitativi sproporzionati rispetto alle medie del passato. Questa vulnerabilità dovrebbe spingere a superare la logica dell’emergenza per passare a quella della prevenzione. Prevenire senza aspettare di trovarsi davanti all’emergenza, fare in modo che non si arrivi mai a situazioni catastrofiche. Cosa occorre per fare una prevenzione ottimale in montagna contro il dissesto idrogeologico? Sicuramente attivare la gestione forestale e la valorizzazione dei boschi. Questo può dare un contributo fondamentale alla mitigazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio montano. In particolar modo, una corretta gestione dei boschi cedui che adesso vengono tagliati perché c’è un ritorno economico interessante. Occorre pianificare la gestione e la manutenzione dei boschi. È ovvio che un terreno nudo in pendenza è più fragile e quindi bisognerebbe impedire il taglio del bosco ceduo che con le radici può trattenere il suolo movimentato dalle piogge. Dai dati che abbiamo raccolto, il costo del legname oggi è raddoppiato e quindi l’interesse a tagliare il bosco ceduo è ancora spiccato, con relativo aumento dei rischi. Per quanto riguarda i lavori di manutenzione e sicurezza idraulica nell’Appennino bolognese, negli ultimi mesi la Regione ha investito circa 300 mila euro. Una cifra abbastanza limitata rispetto alle reali necessità. Un’altra criticità è rappresentata dalla divisione del monitoraggio – e quindi anche degli interventi di sicurezza idraulica – per province e per bacini. Questa divisione non consente una visione globale del problema e rischia di far perdere di vista le situazioni emergenziali. Per quanto riguarda lo spopolamento, nei programmi della Regione, che ha anche un assessorato dedicato, quello delle Politiche per la Montagna, c’è molta attenzione al tema; il problema della fuga degli abitanti dalle montagne è che toglie il contributo umano sulla sorveglianza del territorio. Mancano i residenti che monitorano il decadimento, le fragilità del territorio perché sono sempre presenti sul luogo magari per attività di coltivazione, di allevamento, di pascolo, le uniche possibili ad una certa quota. Quindi la presenza di attività economiche regolamentate è un modo per gestire in maniera ottimale il territorio e non abbandonarlo a se stesso. Ripopolare la montagna è importante, ma occorre riportare i servizi, la banda larga. Fare in modo che chi sceglie di vivere lì non si senta fuori dal mondo.

Per quanto riguarda le energie rinnovabili, come giudica, da ambientalista ma anche da amministratrice, le continue diatribe e contestazioni che sorgono sulla costruzione d’impianti eolici, accusati di deturpare il paesaggio mentre in Europa, e non solo, si tende ad aumentarne le superfici?
Per quanto riguarda gli impianti eolici, sono assolutamente d’accordo con quanto ha dichiarato nella vostra intervista Ermete Realacci: io sono una di quelli che sostengono i parchi eolici. Penso veramente che ci sia da superare molti pregiudizi estetici, o meglio canoni estetici che vanno in qualche modo accordati alle esigenze energetiche. Abbiamo tollerato le piattaforme del metano, i tralicci per il trasporto della corrente elettrica e adesso ci opponiamo alle pale eoliche che oggi sono anche tecnologicamente evolute? Al momento abbiamo in divenire due grossi parchi eolici: uno a Rimini e uno al largo di Ravenna, quest’ultimo abbinato anche al fotovoltaico galleggiante, che potrebbero portare contributi importanti, e sono entrambi bloccati. Non è possibile! L’anno scorso, nei primi dieci mesi del 2021, Terna ha ricevuto richieste per impianti per complessivi 150GW per energia da fonti rinnovabili. Per rispettare gli obiettivi europei dovremmo installarne come minimo 7 GW all’anno. Sui 150GW richiesti nei primi dieci mesi ne abbiamo installato 1! Siamo tutti d’accordo che ci sono delle aree che non possono essere destinate a parchi fotovoltaici, ma oggi ci sono impianti, detti agrivoltaici, che permettono di coltivare in contemporanea anche il terreno, quindi c’è la possibilità di farli convivere con la produzione agricola. Poi ci sono i tetti dei vari depositi e magazzini, capannoni e strutture abbandonate, tutte superfici utili che possono essere sfruttate. Nei centri storici non si dovrebbero mettere impianti sui tetti perché si va a deturpare il panorama, ma oggi ci sono dei sistemi di impianto che imitano le tegole, cioè la pellicola fotovoltaica è aderente alla forma della tegola stessa mimetizzandosi completamente con la struttura. Quindi, se davvero oggi vogliamo risolvere il problema dell’emergenza energetica, che è la vera emergenza come ci stanno dicendo gli scienziati da decine di anni, bisogna trovare dei compromessi. È a rischio la sopravvivenza del Pianeta, ma soprattutto la nostra di essere umani che rischiamo di trovarci ad abitare in ambienti in cui non è possibile vivere.

Europa Verde si è dichiarata contraria alla riattivazione dei canali di estrazione di gas esistenti in Adriatico. Quali sono le vostre motivazioni e quali alternative intravvedete?
Da recenti studi sull’argomento, emerge che al largo delle coste emiliano-romagnole dell’Adriatico il massimo del quantitativo di metano che può essere estratto è quello che sarebbe consumato in un anno. Per arrivare ad estrarlo, inoltre, minimo ci vuole un anno. Quindi una visione di corto respiro. La contropartita è che si sarà peggiorato il fenomeno della sussidenza sia per Ravenna che per Venezia, aggravato quello dell’ingressione salina nel Delta del Po dove l’acqua salata arriva già a dieci chilometri all’interno, e si può immaginare che sconvolgimento comporti la miscela di acqua salata ed acqua dolce nella fauna e nella flora del fiume. Inoltre, queste estrazioni contribuiscono al fenomeno di erosione delle coste; infatti i Paesi Bassi, che sono fra i più grandi esportatori di gas metano in Europa occidentale, hanno bloccato l’uso del gas nel loro paese perché le estrazioni andavano ad alterare in maniera significativa l’ambiente costiero. La Regione Emilia-Romagna, per contrastare l’erosione della costa, effettua interventi di ripascimento, che significa andare al largo, prelevare le sabbie fossili che dovrebbero restare invece dove sono, e portarle a riva. Alla “modica” cifra di 20/30 milioni di euro ogni anno. Siamo di nuovo nell’ordine degli interventi emergenziali e non di prevenzione. La prevenzione sarebbe non contribuire ad aumentare il fenomeno dell’erosione delle coste, ed invece qui si erodono le coste per estrarre e poi si “ruba” la sabbia ai fondali per porre rimedio. Un mondo contraddittorio per gestire il problema.
La prima cosa da fare sarebbe tagliare i consumi. Efficienza energetica, risparmio energetico. Occorre ridurre i consumi e i consumi residui andrebbero coperti con le fonti rinnovabili. Per esempio, nell’ambito del riscaldamento bisogna ricorrere di più alle fonti inesauribili come quelle della geotermia a bassa entalpia, che è lo sfruttamento del calore contenuto nel primo strato di sottosuolo, attraverso un fluido vettore, per mezzo di una pompa di calore, con le funzioni di impianto di climatizzazione degli edifici. Ma se pensiamo di risolvere i problemi continuando a produrre le criticità che hanno originato le stesse questioni che ci troviamo ad affrontare (una è la dipendenza dall’estero, l’altra l’utilizzazione di fonti energetiche che contribuiscono ai cambiamenti climatici), continueremo a ripetere gli errori come in un loop.

Associazioni come Viva il Verde operano nel territorio per promuovere lo sport in funzione della tutela dell’ambiente, del miglioramento della coscienza ecologica individuale, soprattutto fra i più giovani, del coinvolgimento delle Amministrazioni locali nelle operazioni di difesa dell’integrità e decoro del paesaggio, come la pulizia di strade, argini e sentieri. Secondo lei lo sport a servizio dell’ambiente può essere un incentivo a portare più persone verso stili di vita più virtuosi ed ecologicamente sostenibili?
Sono d’accordo per quanto riguarda lo sport amatoriale e lo sport, come quello promosso da Viva il Verde, con trekking e camminate che favoriscono la conoscenza dell’ambiente e anche la sua stessa cura. Questo tipo di sport favorisce l’empatia con la natura, che nasce dalla conoscenza diretta, ed anche il desiderio di non fare male all’ambiente. Non tutto lo sport, come per esempio la caccia che si considera uno sport, fa del bene all’ambiente. Non sono inoltre assolutamente d’accordo sulla produzione di neve artificiale che deve rimediare alla mancanza di neve per i cambiamenti climatici, provocando lei stessa un danno all’ambiente e rinnovando il circolo vizioso.