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Anche se ferita la natura rinnova se stessa: non è il pianeta ad essere a rischio ma il genere umano

Intervista di Anna Magli a
Paolo Venturini vive e si allena alle pendici dei Colli Euganei e fa parte
del Gruppo Sportivo Fiamme Oro di atletica della Polizia di Stato.

Intervista a Paolo Venturini cinquantaquattro anni padovano, vive e si allena alle pendici dei Colli Euganei e fa parte del Gruppo Sportivo Fiamme Oro di atletica della Polizia di Stato. È Sovrintendente Capo della Polizia di Stato ed è Goodwill Ambassador per l’organizzazione non governativa Northern Forum.

Dopo le imprese epiche del 2017 nel luogo più caldo del mondo, il deserto del Lut in Iran, e del 2019, a Oymyakon, il luogo abitato più freddo del mondo nel 2022 avevi in programma di correre sulla superficie ghiacciata della riserva d’acqua dolce più grande del mondo, il Lago Bajkal in Russia, dove esiste un ecosistema unico messo in pericolo dal riscaldamento globale. Come mai hai dovuto rinunciare?

Purtroppo, per ora, ho dovuto rinunciare. Inizialmente il progetto, doveva essere realizzato nel 2021 dopo avere effettuato due sopralluoghi perché si tratta di un’impresa molto complicata che necessita di molti test preliminari, programmata quindi per marzo 2022, lo scorso febbraio, assieme al mio staff, dopo un’attenta valutazione, abbiamo deciso di rimandare la sfida a causa dalla crisi internazionale tra Ucraina e Russia. Rinunciare non è stata una scelta legata a eventuali pericoli, perché il Bajkal è molto lontano dall’area di crisi, ma più che altro per una questione di rispetto per chi in questi momenti, sta soffrendo o piangendo i caduti. Il progetto “Bajkal Infinity Ice”, ha visto quasi due anni di lavoro e preparazione, con investimenti già spesi, che probabilmente andranno persi, visto che la situazione internazionale perdurerà ancora per mesi. Ma queste cose fanno parte dei rischi di questi progetti. Sarebbe stato il tentativo di un record mondiale, mai riuscito da alcuni in precedenza. Il Bajkal è il lago più antico e profondo del mondo, lungo circa 650 km e profondo fino a 1.600 metri, tolte le calotte polari, è la riserva d’acqua dolce più grande della terra. Oltre al record sportivo, la scelta del lago Bajkal, voleva diventare un forte messaggio ambientale, in quanto patrimonio mondiale dell’UNESCO e simbolo più importante della natura russa. Un luogo unico che però sta “subendo” gli effetti dei cambiamenti climatici. Il surriscaldamento globale, limita sempre di più il congelamento delle acque del Bajkal, facendone assottigliare e rendendo instabile la superficie del ghiaccio. La stagione più indicata per attraversarlo di corsa è tra i mesi di febbraio e marzo. Questa era l’impresa che avevamo preparato. Una sfida sportiva per percorrere 650 chilometri con temperature tra i -30°C ed i -40°C sotto lo zero, su una superficie ghiacciata molto irregolare ed increspata, ma anche un’azione d’impegno ambientale per raccontare e monitorare uno dei luoghi più spettacolari ed unici della natura russa. Anche culturalmente è un luogo molto particolare, infatti da sempre è stato un crocevia tra l’oriente e l’occidente. La parte sud del lago, è parte dalla Repubblica di Buriazia, mentre la sponda nord è un oblast’ di Mosca. Si tratta di una sorta di mare interno, in passato era descritto proprio così, capace di separare culture e modi di vivere, lontanissimo sia dal mar glaciale Artico, che dall’oceano Indiano, presenta fauna e flora endemiche, uniche al mondo, come ad esempio la Pusa Sibira o foca del Bajkal. Quando il lago ghiaccia, con spessori che possono essere anche di 3 mt, la purezza delle sue acque e la trasparenza del ghiaccio, consentono di vedere fino ad 8 metri il fondale, dando la sensazione di essere sospesi sopra una lastra di vetro.

Cosa ti spinge a tentare queste imprese così estreme?

Sono sempre stato appassionato della natura, di flora e di fauna anche non autoctone quindi una delle motivazioni che mi spingono a queste sfide è proprio la curiosità di andare a scoprire luoghi estremi. Inoltre, mi piace l’idea di farle conoscere e lanciare messaggi ambientalistici per difenderli. Dopo la sfida in Iran, dove ho percorso 75 km nel deserto del Lut dove è stata registrata la temperatura più alta del pianeta oltre 70 °C, e in Jacuzia dove ho corso 39,120 chilometri a una temperatura di -52,6°C, sono stato definito l’atleta con l’escursione termica più alta del mondo. Anche per questo e per l’unicità dei miei progetti, nel settembre del 2021, sono stato nominato dal Northern Forum, Goodwill ambassador. Una grande soddisfazione perché in 30 anni di vita di quest’ organizzazione – il Northern Forum, “padre” del Consiglio Artico, ovvero dell’unione dei paesi che si affacciano al mar Glaciale Artico, con lo status di Osservatore nel Consiglio Artico ed unica organizzazione non governativa per la cooperazione interregionale il cui scopo è migliorare la qualità della vita nel Nord del pianeta e lo sviluppo regionale sostenibile – è la prima volta che un italiano riesce ad ottenere questo titolo. Ma non è tutto: nella storia dell’Organizzazione è la prima volta che il titolo è attribuito a un atleta e non a uno scienziato o a un docente universitario. Dato che al momento la presidenza dell’organizzazione è russa, ho ottenuto il permesso della Farnesina di partecipare ufficialmente alla cerimonia di conferimento. Al momento la crisi internazionale ha sospeso il lavoro dell’organizzazione per le difficoltà politiche ma anche logistiche. Con loro ho comunque partecipato a un paio di missioni e ho proposto alcuni progetti che sono stati accolti favorevolmente. Proposte che esulano un po’ dallo standard tradizionale dei progetti di salvaguardia ambientale e climatici – fornire strumenti e opportunità ai leader regionali nella risoluzione di problemi comuni, attuare iniziative socio-economiche congiunte a livello regionale – puntando invece sui giovani nativi di questi luoghi, cercando di coinvolgerli nella lotta contro il cambiamento climatico e nella protezione e salvaguardia delle loro zone di residenza. I progetti sono pronti, ma per ora non possono essere sviluppati in maniera decisiva: anche se l’organizzazione ha sospeso ufficialmente i lavori, si cerca comunque di affinare gli obiettivi sperando di poterli portare avanti, attraverso webinar e incontri a distanza. L’idea di fondo è responsabilizzare, formare e rendere attive le nuove generazioni dei nativi (Canada, Alaska, Norvegia, Finlandia, Russia del Nord, Islanda) che stanno subendo i cambiamenti climatici più violenti e più rapidi e farli diventare loro stessi custodi dei loro territori. Un modello di formazione che tiene conto delle diverse problematiche dei singoli territori – qui passiamo da chi ha problemi di incendi a chi ne ha per lo scioglimento dei ghiacci, a chi non ha una cultura della raccolta differenziata dei rifiuti – partendo dal basso, formando i singoli individui che diventano responsabili e guardiani del luogo in cui vivono. Un’idea che mi è venuta in mente andando a visitare questi luoghi che sono incontaminati e bellissimi e poi magari scopri che anche nei parchi naturali non c’è la cultura del rispetto dell’ambiente, si abbandonano i rifiuti e gli stessi ranger non sono sensibilizzati sul tema.

Durante la tua esperienza in Jacuzia come hai trovato la situazione di tutela ambientale?

In generale sono abbastanza attenti, però cadono in contraddizioni disastrose che sono dettate proprio dalle condizioni proibitive del clima. Per fare un esempio, in molte regioni artiche, i motori delle autovetture, vengono accesi da metà ottobre e spenti verso il mese di aprile. Questo perché se non hai un luogo riscaldato dove ricoverare l’auto, e pochi lo hanno, a meno 50 gradi se non si lasciasse il motore acceso, olio, carburanti ed ingranaggi si congelerebbero, non facendolo più ripartire. Prendendo come esempio la città di Yakutsk, meno di un terzo della popolazione della capitale della Repubblica di Sacha Jakutia, che oggi conta oltre 320.000 abitanti, può disporre di garage riscaldati e comunque durante gli spostamenti quotidiani, si è costretti a lasciare l’auto sempre in moto. Questo significa che nella sola Yakutsk, ci sono oltre 200 mila macchine, accese 24 ore su 24 ore, per cinque mesi l’anno. Ma attenzione, tutto questo diventa poi un’abitudine, che unita al basso costo dei carburanti, fa’ sì che anche nel periodo estivo, dove le temperature possono arrivare fino ai +40°C (la Jakutia è il luogo con la più grande escursione termica al mondo) le automobili non vengono quasi mai spente. Questa è una delle mie missioni, fare cambiare queste abitudini.

E in Iran, cosa ti ha colpito di più?

Il deserto del Lut è talmente caldo che i biologici lo considerano un ambiente sterile, con pochissime forme di vita molte delle quali, solo nel periodo invernale, sono in movimento per migrazione da un continente all’altro. Una cosa che colpisce di questo luogo è che ti fa capire quello che, se andiamo avanti così, potrebbe veramente diventare il nostro pianeta. Qui si sono registrate le temperature più alte di sempre, parliamo di 72 gradi sopra lo zero, mediamente 60/65 gradi. Con queste temperature la vita non può esistere. In estate, la temperatura del terreno si aggira attorno ai 90°C ed il deserto del Lut potrebbe diventare l’esempio e monito di quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro: non una rielaborazione al computer, non una fiction costruita ad hoc per far immaginare il futuro, ma la realtà. Da secoli in questo luogo la situazione è invariata: la natura ha voluto mostrarsi in quel deserto, per una serie di fattori climatici, in quel determinato modo e nonostante tutto la vita esiste. L’insegnamento è che la natura è in grado di continuare a generare vita, l’essere umano, in condizioni climatiche estreme, seppur aiutato dalla tecnologia, non può sopravvivere. Da tempo sostengo che gli umani, con i loro comportamenti devastanti, non stanno distruggendo il pianeta. Andrebbe sostituito il termine “pianeta” con quello di “uomo”, perché il pianeta ha già dimostrato in passato di sapersi rigenerare. Quando venne colpito da un meteorite, capace di sconvolgere gli equilibri della vita, con la scomparsa di gran parte delle specie vegetali ed animali, primi tra tutti i dinosauri, diventando così un luogo inospitale. Ma non tutto sparì, qualche piccola forma di vita si salvò, dando origine nei millenni a nuove specie, arrivando fino a noi. Quello che l’uomo può distruggere non è il pianeta ma lo stesso genere umano, creandosi da solo le condizioni di non sopravvivenza. La natura, invece, è sempre in grado di rigenerarsi e darsi un nuovo inizio.

Parlando di quanto è recentemente successo, come sportivo e ambientalista, quali credi sia stata la dinamica che ha provocato la sciagura della Marmolada?

Indubbiamente è dovuto al cambiamento climatico e lo dimostra il fatto che per giorni in cima ci sono state temperature abbondantemente superiori allo zero, anche di notte. La Marmolada, come molte altre nostre montagne delle Dolomiti, è una delle mete preferite dagli appassionati di escursioni da moltissimi anni mentre il fenomeno del riscaldamento globale è per noi una situazione relativamente nuova, un’emergenza che ancora non si era verificata così vicino a casa, così contestualizzata nella nostra realtà quotidiana. Eppure tutti i giorni arrivano segnali di cose inaspettate con cui dobbiamo cominciare a relazionarci. Un po’ come il discorso della pandemia. E’ arrivata, potente e inaspettata, trovandoci impreparati per un fenomeno nuovo di una portata con cui non ci eravamo mai confrontati prima. Se al posto del ghiaccio, sulla Marmolada, si fosse staccato un pezzo di roccia, cosa successa in altre zone delle Dolomiti in passato, ci sarebbero state delle vittime ma anche questo sarebbe stato un evento imprevedibile. Per questo io credo fosse molto difficile prevedere un disastro di questa portata, comunque la magistratura e gli esperti indagheranno su questo: ora, dopo che abbiamo sperimentato una tragedia del genere e sappiamo che possiamo attribuirla al cambiamento climatico, dobbiamo farci trovare pronti e responsabili affinché queste cose non accadano più o, se accadono, non facciano delle vittime. La montagna presenta anche nelle escursioni più semplici sempre una componente di rischio. Rischi calcolabili che in questo caso non era possibile prevedere. E’ un altro dei segni, per i più scettici, che il cambiamento climatico è in atto con una velocità che non abbiamo mai visto prima: siamo in un periodo di post glaciazione, le temperature che sarebbero state comunque destinate ad alzarsi lo stanno facendo in modo esponenziale, troppo rapido per essere naturale.
Nelle tue esperienze porti avanti da sempre la sinergia tra sport e ambiente, come strumento per tutelare la natura e conoscerla in modo più ravvicinato facendone esperienza diretta.
La corsa è lo sport più ecologico del mondo, come la camminata e la bicicletta. C’è l’opportunità di entrare nella natura in silenzio, senza essere invasivi e con impatto zero, con la possibilità di interagire con odori, colori, profumi e sensazioni. Un’immersione totale che puoi fare in compagnia o da solo e comunque in concentrazione e intimità. Per fortuna nel nostro Paese questa tendenza è in continua crescita, anche grazie ad associazioni come Viva il Verde che lavorano per far conoscere l’ambiente in modo sano e sostenibile. Associazioni sportive che praticano l’attività fisica facendo conoscere e promuovendo il loro territorio. Mi piange il cuore quando percorrendo i sentieri anche dei Colli Euganei dove vivo, ma anche in altri luoghi del nostro paese, trovo rifiuti lasciati dagli stessi sportivi, che dovrebbero essere i primi ad avere interesse di tutela per l’ambiente in cui praticano attività fisica. Dovrebbero essere i primi guardiani dell’integrità del luogo. Nessuno è giustificato a lasciare immondizia o deturpare l’ambiente, ma se quest’azione viene commessa da uno sportivo o da un escursionista, oltre a contravvenire alle regole ed all’educazione, si va contro la morale e questa è una cosa molto più grave