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Lunga vita al Lupo!

Intervista di Anna Magli a
Mia Canestrini, zoologa autrice del libro La ragazza dei lupi. La mia vita selvaggia tra i lupi italiani.

Intervista a Mia Canestrini, zoologa autrice del libro “La ragazza dei lupi. La mia vita selvaggia tra i lupi italiani.” Si è messa sulle tracce dei lupi da studentessa di Scienze Naturali, quando come tesi doveva cercare segni di presenza del lupo per studiarne la genetica. Non li ha più lasciati e ha svolto un accurato lavoro di monitoraggio per oltre 10 anni. Oggi Mia è una “lupologa”, ed è una delle più preparate. Ha pubblicato due libri e negli ultimi mesi si è dedicata alla divulgazione scientifica sia in televisione sui canali Rai che in radio per insegnare alle persone a convivere con l’animale di cui gli uomini hanno una paura ancestrale e un’attrazione infinita.

Nei tuoi libri racconti che coltivi l’amore per la natura e per gli animali fin da piccola. Quali sono i tuoi primi ricordi di questa inclinazione?
Sono nata a Bologna quaranta anni fa. Pur vivendo in città, ho avuto la fortuna di avere un papà originario di un paesino dell’Appennino dove ho trascorso molti periodi della mia infanzia e della mia adolescenza, vivendo in mezzo alla natura. Bologna è una città che aiuta a formarsi una mentalità empatica e aperta verso il prossimo. Lo stesso spirito che ho vissuto in casa con i miei genitori che mi hanno insegnato i valori della condivisione, del rispetto, della tolleranza e a non aver paura del diverso. Un lavoro che su di me ha avuto la discriminante di capire che non ero molto interessata alle persone, pur rispettandole, ma piuttosto agli animali e al loro mondo. La mia attenzione, il mio entusiasmo e la mia curiosità, sin da quando ho mosso i primi passi, erano rivolti al mondo della natura e ai suoi misteri. Un entusiasmo condiviso con la mia famiglia che negli anni ha adottato vari animali, dai cani ai cavalli, e accolto, senza mai ritrarsi indietro, quelli meno domestici ma bisognosi di cure o ricovero. Con la scuola la passione istintiva si è trasformata in curiosità di saperne di più e mi sono avvicinata agli scienziati che potevano completare la mia formazione naturalista maturata sul campo. Gerald Durrell e Konrad Lorenz mi hanno insegnato moltissimo e spinto alla scelta universitaria che mi ha portato a diventare una “lupologa”: la scienziata esperta in lupi.

Come è nata la tua passione per i lupi e la voglia di saperne di più?
L’amore per questo animale nasce dalla mia passione per i cani: mi è sembrato importante conoscere il loro progenitore, le sue abitudini, la sua storia. Ho capito che la mia strada era studiare zoologia perché lavorare in un parco nazionale e occuparmi di progetti di ricerca e monitoraggio sul lupo, all’epica in odore di estinzione. Sono riuscita trasformare una visione in realtà cominciando proprio con la tesi di laurea: una ricerca sulla genetica del lupo che mi ha aperto le prime porte. Dopo la laurea ho fatto un anno di servizio civile nel Parco delle Foreste Casentinesi mentre frequentavo un successivo master in zoologia. In contemporanea ho partecipato a un concorso che sembrava fosse stato indetto apposta per me: l’ho vinto e sono stata assunta per partecipare a un progetto sull’Appennino Tosco Emiliano. Per dieci anni ho lavorato in questo parco con progetti diversi sempre sul lupo.

Un lavoro un po’ anomalo per una ragazza. Hai incontrato difficoltà?
A chi mi chiede se è difficile fare un lavoro che tutti si immaginano, salvo per rare eccezioni, più adatto a un uomo, rispondo che sicuramente la componente maschile di chi opera in questo settore è prevalente e vale anche un po’ il detto “una donna deve lavorare il doppio per dimostrare di valere almeno la metà”. Inoltre c’è il fatto di dover lavorare sempre in luoghi isolati, in progetti di monitoraggio in cui sei sempre in movimento, che non hanno orari, senza week end o vacanze da poter programmare. Dopo anni di lavoro sul campo ho dovuto prendere atto della stanchezza accumulata in un mestiere che richiede un’energia che forse non ho più, anche per una questione anagrafica. Così, dopo aver concluso l’ultimo progetto cui mi ero dedicata, ho deciso di condividere i miei saperi con gli altri, visto il capitale di informazioni e competenze che ho accumulato in tutti questi anni di esperienza : ora mi occupo principalmente di divulgazione scientifica. Scrivo libri e articoli e conduco programmi in radio e in televisione. Al momento mi occupo di questo almeno fino a che non si presenterà l’occasione per lavorare a un nuovo progetto, che prenderò sicuramente in considerazione perché la mia natura selvaggia e la mia curiosità scientifica non vanno a pari passo con l’età biologica e non potrebbero certo rinunciare a un’esperienza che potrebbe arricchire le mie conoscenze.

Che idea ti sei fatta della cultura scientifica di chi ti segue in radio o in Tv? A che punto siamo?
Parlando con gli ascoltatori e leggendo quanto mi scrivono i miei lettori capisco il profondo scollamento che c’è tra il mondo della natura e le persone, soprattutto le più giovani, che vivono nelle città. Molti non sanno distinguere un albero da un altro, un animale selvatico da un altro, ma anche una capra da una pecora. E’ ovvio che nell’ambito della nostra vita non possiamo considerarle informazioni esistenziali, si vive lo stesso anche senza saperle, ma noi siamo parte di questo pianeta e conoscerlo da un punto di vista naturale è necessario. Nel mio ruolo di divulgatrice mi sembra di poter contribuire a colmare questi vuoti. La televisione, in particolar modo, è ancora guardata da molte persone, nonostante le piattaforme web stiano prendendone il posto. E sono molti i telespettatori che mi danno un riscontro inviandomi una mail dove mi raccontano che hanno imparato una cosa che non sapevano, che qualcosa di cui gli ho parlato in una trasmissione ha cambiato il loro punto di vista su un determinato tema, che hanno riscoperto parchi naturali o luoghi ancora intatti della natura, magari non lontano di casa, che non conoscevano. Per questo credo che la divulgazione scientifica giochi un ruolo molto importante nella formazione di una coscienza ecologica nelle persone che non hanno modo di avere contatti più ravvicinati con la natura. Colmare certi vuoti di conoscenza è anche creare consapevolezza. La scuola è un po’ carente in questo senso. I programmi scientifici potrebbero essere più ricchi e si dovrebbero avere molte più ore dedicate alle materie scientifiche. Per far conoscere il mondo che ci circonda, che sfatare vecchi miti, per raccontare la vita degli animali che fanno parte della nostra ecologia quotidiana.

Il lupo è ancora, come hai spesso ripetuto anche tu, un animale misterioso da cui siamo attratti e, nello stesso tempo, verso il quale nutriamo una paura ancestrale. Cosa dovremmo conoscere del suo mondo per capirlo meglio?
Ci sono tante cose che non sappiamo sul lupo e mi piace raccontarle anche per smentire quell’aura di negatività che ancora oggi lo caratterizza. Molti mi chiedono, infatti, se è normale incontrare i lupi per strada, anche nelle vicinanze dei centri urbani. Può sembrare strano fare questi incontri, perché non eravamo più abituati. In realtà i lupi avevano questi comportamenti anche mille anni fa, li hanno sempre avuti, e noi ce ne siamo dimenticati semplicemente perché sono scomparsi per molti decenni per cui si è persa la memoria storica di questi comportamenti che in realtà rientrano completamente nella loro natura. Avvistare un lupo nei pressi di un centro abitato non è una cosa che ci deve meravigliare. In realtà il lupo ha sempre frequentato gli ambienti urbani in cerca di cibo, di risorse e situazioni adatte alle sue esigenze di sopravvivenza essendo un animale molto opportunista, nel senso che coglie le opportunità che gli si presentano. Non è così anomalo trovare un lupo su strade frequentate, nella prossimità di centri abitati o vaganti per la campagna. Il lupo è un animale molto intelligente per cui sa quando evitare l’uomo e probabilmente capisce anche quando un uomo non rappresenta un pericolo e questo spiega perché a volte si hanno degli avvistamenti ravvicinati. Se il lupo non scappa, anzi ci osserva incuriosito, non è perché voglia farci del male o non abbia più paura di noi: semplicemente capisce che in quella situazione non rappresentiamo più una minaccia e quindi si sente più tranquillo a passarci vicino o a scrutarci da una certa distanza. Non è nella sua natura interagire con l’uomo. Può succedere se qualcuno aiuta i lupi a ricevere del cibo come se fossero cani randagi. Questi comportamenti possono rendere i lupi più confidenti con l’uomo ma questa non è una cosa positiva perché forza una condizione che non esiste in natura. Il consiglio che mi sento di dare a chi si trova, magari perché sta facendo sport o una passeggiata, ad avere un incontro ravvicinato con un lupo, è di limitarsi a osservarlo senza cercare di interagire. Il lupo ha paura dell’uomo e se proprio si vuole allontanarlo, basterà battere forte le mani, mulinare le braccia e gridargli di andarsene, e lui se ne andrà.

Quali sono e come si sviluppano le gerarchie e i rapporti sociali nel branco?
Il lupo è un animale che ha forte senso dei legami familiari. Un branco è una famiglia. C’è una coppia che si riproduce ogni anno e il resto del branco è rappresentato dai figli di quella coppia che rimangono nel branco per tutta la vita o fino ai due anni di età quando lasciano il branco per formare a loro volta un nuovo branco. C’è molto equilibrio nel rapporto maschio/femmina, non ci sono dinamiche dominanti ma collaborazione. Inoltre quella del lupo è una specie monogama: una coppia, salvo incidenti, resta insieme tutta la vita, almeno fino a quando la femmina è riproduttiva. I lupi sono animali compassionevoli. Ci sono molti casi documentati di branchi di lupi che hanno continuato a sostenere individui in difficoltà, magari feriti o malati. Sembra che ci sia una certa forma di collaborazione nel cercare di far sopravvivere chi del branco si trova in difficoltà, chi è stato sfortunato.

Dovessi fare un bilancio della tua vita, dell’impegno lungo e faticoso che ha richiesto il tuo lavoro di monitoraggio solitario fra boschi e montagne, cosa ti sentiresti di dire?
A questo punto della mia vita, non solo professionale, se penso a tutte le cose che ho avuto l’opportunità di fare, sperimentare e conoscere, mi sento una donna molto fortunata. Non ho una famiglia perché anche se ho avuto l’opportunità di crearla non ne ho sentita l’esigenza. Ho avuto il privilegio di trovare sempre compagni di vita che hanno condiviso il mio percorso professionale, il tipo di vita che mi portava a fare, perché lavoravano nel mio stesso ambito, ma anche persone che facevano tutt’altro mestiere, ma avevano molto rispetto del mio lavoro. Sicuramente ho dovuto rinunciare a una vita sociale, vivendo in situazioni di montagna per i miei progetti di monitoraggio: sacrificare quegli spazi che si coltivano tra i venti e i quarant’anni. Una vita più attiva, il cinema, il teatro, gli aperitivi con gli amici, le vacanze, per me sono state un tabù per almeno quindici anni. Poi, circa tre anni fa, alla fine di uno degli ultimi progetti cui ho lavorato, mi sono trasferita a Milano per coltivare un po’ di più il filone professionale divulgativo e parallelamente ho continuato a lavorare su altri progetti di monitoraggio del lupo cercando però di far convivere il lavoro con la mia vita sociale.

Ma tu Mia, alla fine, ti senti più “lupologa” o Ragazza dei lupi?
Alla domanda se mi sento più scienziata lupologa o Ragazza dei Lupi, come si intitola il mio primo libro, rispondo che mi sento più ragazza dei lupi perché la lupologa è lo scienziato con la divisa che non esce mai dal suo ruolo mentre la ragazza dei lupi è una persona che si mette in gioco al di là della sua professionalità scientifica e che ha deciso di aprire le porte della scienza al grande pubblico, raccontando la sua esperienza e la sua passione. Ho imparato a riconoscere nella natura, la massima espressione artistica e creativa. Il mio compito ora è condividere con gli altri questa meraviglia.