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Il cammino come metafora dell’esistenza,
luogo d’incontri, di crescita e di consapevolezza.

Intervista di Anna Magli Zandegiacomo a
Gaetano Quagliariello, senatore della Repubblica Italiana, professore ordinario di Storia contemporanea alla LUISS Guido Carli di Roma
e presidente della Fondazione Magna Carta.

Gaetano Quagliariello è senatore della Repubblica Italiana, professore ordinario di Storia contemporanea alla LUISS Guido Carli di Roma, presidente della Fondazione Magna Carta. È stato Ministro per le riforme costituzionali nel Governo Letta. È giornalista pubblicista e collabora con quotidiani e magazine. Autore di diverse pubblicazioni fra cui l’ultima, “Strada facendo” edizioni Rubbettino, una testimonianza della sua passione per l’ambiente ed i cammini, è il racconto di un viaggio fisico, ideale e programmatico nelle aree interne appenniniche.

In un suo recente scritto definisce la questione ambientalista, uno “strumento di lotta politica e geopolitica”. Afferma inoltre che la globalizzazione non sia l’unico fattore ad aver incrementato il problema di cui lei invece individua le cause non solo nell’espansione dell’Occidente ma anche ad altre dinamiche. Può spiegarci quali sono?

“Le due affermazioni sono strettamente collegate. Da non negazionista della questione ambientale, quale sono, ritengo che l’ostacolo più grande a una strategia razionale sia l’approccio ideologico di chi brandisce l’ambiente come arma impropria di lotta politica e geopolitica. Tanto per non fare nomi e cognomi, si addita il modello occidentale di sviluppo quale presunto responsabile dei problemi legati all’inquinamento e alle emissioni, mentre è difficile ascoltare da parte degli ‘ambientalisti ideologici’ una parola rispetto alle conseguenze dell’espansionismo aggressivo e assai più ‘sregolato’ di giganti come la Cina. Gli stessi aspetti problematici del processo di globalizzazione non derivano tanto dal presunto ‘colonialismo occidentale’, quanto dalla difficoltà di fare della competizione globale fra player soggetti a regole assai diversificate (per riprendere l’esempio precedente, pensate ai diritti di un lavoratore cinese comparati a quelli di un lavoratore europeo…) una competizione regolata e ‘sostenibile’ da tutti i punti di vista”.

Lei suggerisce l’idea che la più alta forma di ambientalismo risieda nel non demonizzare ma valorizzare le attività antropiche, come strumento principe di cura del territorio. Come ritiene deve essere affrontato il problema considerando questa sua convinzione?

“Ne sono assolutamente convinto. Bisogna rifuggire gli opposti eccessi: da un lato quello di chi nega che una questione ambientale vi sia e vada affrontata, dall’altro quello di chi ritiene che l’ambientalismo sia una ideologia alla quale l’uomo debba sottomettersi. La parola ecologia deriva da oikos, che in greco significa ‘casa’. L’ambiente è la casa nella quale l’uomo vive e opera, per questo merita rispetto e per la stessa ragione la sua vera tutela è quella che si coniuga con le attività antropiche eticamente realizzate. Basti pensare all’immenso valore ambientale dell’agricoltura, o alla funzione bonificante di attività produttive opportunamente regolate in territori altrimenti abbandonati all’incuria e al degrado. Una conferma di questa concezione l’ho avuta anche percorrendo a piedi, attraverso i Cammini, ampi tratti delle aree meno esplorate della nostra bellissima Italia: dove ci sono camminatori, attività ricettive, presenze umane, l’ambiente è molto più tutelato e valorizzato”.

Nel suo libro Strada facendo, l’idea del cammino è concepita come l’immagine di una comunità in movimento, aperta poiché viaggiante, ben diversa tuttavia dal concetto di viaggio fine a se stesso tipico degli anni settanta, con l’inevitabile necessità di convivere e confrontarsi con chi ha un diverso stile di vita ed diverse esigenze. Perché il cammino è metafora dell’esistenza?

“Avendo vissuto gli anni della gioventù nella stagione post-sessantottina, quando ci si nutriva del mito della ‘Strada’ di Kerouac e il viaggio era metafora di un consumo – del tempo, dello spazio, del corpo, del rapporto con l’altro – senza un fine e senza fine, nel libro ho messo tale concezione a confronto con quella, diametralmente opposta, che si interpreta intraprendendo un Cammino. Il Cammino è un pellegrinaggio, sia esso spirituale o laico, verso una destinazione tanto geografica quanto ideale. E’ un fare i conti con il senso del limite e amministrare se stessi e le proprie energie in vista di un obiettivo. E’ un incontro con l’altro in nome di qualcosa di altro da sé. Per questo è una metafora dell’esistenza assai più profonda di quella che ha coltivato i miti di mezzo secolo fa”.

Nel racconto del suo cammino di San Benedetto, intrapreso in tempo di Covid, sviluppa il pensiero, poi ripreso anche da Antonio Polito, dell’intimo nesso tra cammino e ripresa. Cosa l’ha portata a questa connessione?

“Un Cammino, oltreché un’esperienza unica per chi lo percorre, è un incredibile volano di sviluppo socio-economico per i territori che il tracciato attraversa. Si tratta di un fattore particolarmente significativo se si considera che la maggior parte dei Cammini si sviluppano in aree scarsamente antropizzate, spesso gravate da fenomeni di spopolamento e quindi di depauperamento. Un Cammino significa attività ricettive e di ristorazione, significa riscoperta di luoghi e tradizioni, rivitalizzazione del piccolo commercio e del commercio specialistico, incentivo alla pratica degli sport naturalistici. Significa recupero di strutture abbandonate, connessione fra territori, promozione dei prodotti tipici senza bisogno di particolari intermediazioni. Significa, insomma, dare un’opportunità ai giovani di crescere e prosperare nei luoghi dove sono nati, spesso meravigliosi e pieni di fascino, senza essere costretti ad andare altrove per mancanza di possibilità. Oltre ad attraversare il Cammino di San Benedetto e altri percorsi, durante il periodo della pandemia ho partecipato con alcuni amici del territorio alla creazione di un nuovo Cammino all’Aquila, il ‘Cammino dei Monti e dei Santi’. Veder nascere una iniziativa del genere da dietro le quinte mi ha dato conferma di quanto tutto ciò che abbiamo appena detto sia vero”.

Nel suo libro cita un pensiero di Giustino Fortunato – padre storico della questione meridionalista – secondo cui “camminare per conoscere, conoscere per amare”. Un’idea sviluppata anche da Viva il Verde che nell’ambito della sua attività sportiva ha incontrato durante i suoi eventi itineranti amministratori e associazioni locali per confrontarsi in merito alle tematiche insite in quelle comunità per farne portavoce in un ambito più allargato e creare sinergie. Quali sono le problematiche di quell’Italia di Mezzo, che fa così fatica a far sentire la sua voce in ambito nazionale?

“La frattura fra costa e aree interne, e per certi versi fra l’Italia delle grandi città e l’Italia dei borghi e delle città medie, per la sua profondità sta assumendo nel nostro tempo una valenza pari se non superiore rispetto alla questione meridionale, soprattutto nelle zone nelle quali le due situazioni si sovrappongono. Questa tendenza, che non nasce oggi e per certi versi è addirittura più antica della questione meridionale, si è notevolmente accentuata a causa dei terremoti che hanno colpito il centro Italia dal 2009 in poi. Si tratta di aree diverse fra loro ma con problematiche comuni, legate alla carenza di infrastrutture materiali e immateriali, alla rarefazione dei servizi essenziali in zone connotate da scarsa densità abitativa e collegamenti impervi, allo spopolamento e alla dispersione delle comunità. L’attività sportiva, il cosiddetto ‘turismo lento’, una politica di riscoperta e valorizzazione di questa Italia che come uno scrigno custodisce un patrimonio inestimabile di storia, cultura e tradizione, possono essere la chiave per invertire la rotta. In quest’ottica, il post-pandemia offre per certi versi un’occasione unica. Queste zone e queste attività interpretano al massimo livello quella domanda di genuinità, di distanziamento fisico ma non sociale, di salubrità, quella voglia di un comunitarismo non consumistico, che questa terribile esperienza ha lasciato in tutti noi. Per riprendere uno slogan ormai abusato: se non ora, quando?”.