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Gli alberi insegnano il rispetto per la natura e per sé stessi. Intervista allo scrittore Franco Faggiani autore di La Compagnia del Gelso.

Intervista di Anna Magli all’autore Franco Faggiani: giornalista, scrittore e amante di boschi e montagne.

Inauguriamo oggi una nuova sezione di Inside the Green dedicata agli autori e ai libri che hanno per tema la natura, la fauna e la flora che la abitano. Cominciamo con La compagnia del gelso, scritto da Franco Faggiani per Aboca Edizioni. Si tratta di uno dei volumi che compongono la collana Il Bosco degli Scrittori, che racconta storie del mondo, partendo da un albero. Secondo gli scrittori che l’hanno realizzata, ognuno col proprio albero del cuore, è solo guardando all’intelligenza del mondo vegetale, alle sue straordinarie qualità sistemiche, che il genere umano potrà comprendere come il rispetto della natura altro non sia che il rispetto verso sé stessi. Faggiani, nelle sue precedenti vite si è occupato di economia, cronaca, sport e, negli ultimi anni, anche di enogastronomia. La sua carriera l’ha visto anche giornalista free lance con reportage da numerose aree difficili del mondo, ha fondato e diretto riviste di viaggi e di sport. Con una serie di libri, fra cui anche gialli ambientalisti, ha inaugurato una carriera di scrittore che gli ha riservato ampie soddisfazioni e riconoscimenti. In questo libro Faggiani esplora le Marche, con un viaggio on the road che lo porta a scoprire un bagaglio di conoscenze botaniche, partendo da una pianta simbolo di saggezza e laboriosità, il gelso, che protegge, nutre e dona tutto quello che ha. Chiamato anche “Lu porcu”, il maiale, come accade per il suino del gelso non si butta niente: le more per cibarsi ma anche curare gola e gengive, le foglie per nutrire i bachi da seta, le radici per purgare, il legno per costruire. Dietro una storia tenera e spassosa, c’è un filo conduttore che unisce tradizione e amore per la natura. Ne parliamo con l’autore, giornalista e scrittore e amante di boschi e montagne spesso al centro delle sue trame narrative.

Faggiani da dove nasce l’idea de La compagnia del gelso, si è ispirato a qualche esperienza personale?
Nonni materni marchigiani, di un minuscolo paese collinare dell’entroterra, dove nell’infanzia e nella prima adolescenza ho passato molte estati. La sera gli anziani (tutti quelli vicini ai trent’anni per me erano già “anziani”) tiravano fuori le sedie impagliate, si sistemavano a quadrilatero contro i muri del vicolo con scorta di sigari e liquori fatti in casa, e narravano storie locali, partendo da fatti veri che pian piano diventavano pura invenzione. Alla fine era più apprezzato chi le diceva più grosse. Poi sono stato per un po’ sposato con una ragazza marchigiana, la cui famiglia aveva terreni e gelsi. Infine, nel 2018, ho incontrato Eleonora Tassoni, libraia alla mitica Libreria Rinascita, ad Ascoli Piceno. Negli storici locali della Libreria un tempo c’era un allevamento di bachi da seta, poi soppiantati di libri. “In” Ascoli, come si dice nelle Marche c’è una profonda cultura sui bachi e dunque sui gelsi. Eleonora mi ha raccontato storie e fatto conoscere persone. Metta insieme tutto questo ed ecco La compagnia del gelso.

Nei suoi libri è evidente un rigore storico-scientifico che si avverte come una prerogativa acquisita sul campo. Quando si parla di natura e ambiente ritiene che la letteratura debba svolgere anche una funzione didattica?
Il passato da giornalista mi ha allenato a documentarmi sempre e rigorosamente su tutto, in epoche in cui internet e affini erano ancora nei sogni di chi li ha poi inventati. All’inizio forse, mi documentavo per opportunità, perché da giornalista free lance, se volevo restare in prima linea, non potevo permettermi di “sbagliare” un reportage o un’inchiesta. La “mia” letteratura, o meglio, narrativa ambientale, non ha ambizioni didattiche, anche se qualche volta le soddisfa, ma di riflessione. Vorrei che chi legge stia bene, abbia buona compagnia, faccia piccoli viaggi in mondi e tra personaggi a lui sconosciuti, e alla fine trovi spunti su cui riflettere non solo dopo aver finito l’ultima pagina ma anche in seguito.

Che cosa significa per lei trascorrere tanto tempo nella natura, quali insegnamenti coglie nelle giornate trascorse a camminare nei boschi?
“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. Scritto da Bernardo da Chiaravalle all’inizio dell’anno 1000. Inutile sottolineare che, in materia, sono diventato un suo fervente discepolo. A camminare nei boschi, da soli o al massimo con un compagno silenzioso, che magari resta pure a una certa distanza, imparo un sacco di cose; specie poi se questi boschi mi sono sconosciuti, così si accentua pure il senso del mistero e dell’avventura. Imparo a osservare (guardare è un’altra cosa, molto più superficiale), a fermarmi, a prestare attenzione al gesto del camminare, ad avere timori e a superarli, ad ascoltare e distinguere i suoni, a concentrarmi sui dettagli, a riflettere, a prendere decisioni, per esempio su dove andare quando il terreno si fa incerto. L’elenco sarebbe ancora lungo…Tutte cose che, con l’allenamento, sono utili altrove.

Il rapporto uomo e natura vive uno dei suoi momenti più conflittuali a causa del mutamento climatico e delle forme di prevaricazione che inevitabilmente l’essere umano esercita sull’ambiente che lo accoglie. Qual è il suo suggerimento per avvicinare le persone all’habitat che le circonda in modo più equilibrato?
Il suggerimento è complicato, anche se si può sintetizzare in una sola parola: educare. Facciamo leggere ai bambini libri sulla natura, mostriamo loro documentari ben fatti sull’ambiente. Discutiamone in famiglia, con parole semplici. Spieghiamo che la plastica, la carta, il metallo della lattina, la gomma non camminano. Sono solo dei materiali, perciò se li troviamo in mare, nel fiume, nei campi o sul marciapiedi non ci sono andati da soli, qualcuno ce li avrà buttati. Diamo l’esempio, come fosse la cosa più naturale del mondo (che poi lo è). Detto questo, sull’educazione da parte della famiglia e anche della scuola – altra istituzione fondamentale – sono ormai piuttosto scettico. I quotidiani fatti di cronaca lo confermano. Sono un po’ più ottimista se e quando i ragazzi arrivano verso la fine dell’università. Allora dovrebbero mettere insieme dei piccoli gruppi di lavoro con diversi indirizzi – forestale, agronomico, biologico, filosofico, antropologico e via di seguito – e studiare ognuno singoli temi, sollevando problemi e portando soluzioni, fino a proporre progetti realizzabili. Io, infine, uso un mio sistema molto artigianale, che il più delle volte funziona: sempre, ma soprattutto quando sono con qualcuno, tiro fuori dallo zaino un sacchetto di plastica e raccolgo i rifiuti non organici che trovo lungo il sentiero. Così, senza commentare, pontificare, senza nemmeno toccare l’argomento, come se, anche questa, fosse la cosa più logica da fare, inevitabilmente. Non è una gran cosa ma è già qualcosa.

Lei è un esperto di cammini e il nostro Paese è ricco di percorsi e itinerari, da percorrere da nord a sud. Ce ne sono alcuni che le sono più cari per qualche ragione particolare?
Caspita sarebbe una lista lunghissima. Mi affascinano gli itinerari che hanno anche un valore culturale, architettonico e tradizionale che è sulla via della dimenticanza ma che invece varrebbe la pena mantenere, o almeno conoscere. Mi riferisco, per esempio, ai sentieri nelle terre alpine del Piemonte occitano, dove nelle feste di piazza suonano ancora musiche medievali con strumenti antichi, il cammino dei Valdesi da Ginevra alle loro valli d’origine, nelle Alpi Cozie. Oppure gli itinerari che si snodano nella Foresta del Cansiglio, adagiata su un altopiano magico, tra le provincie di Belluno, Pordenone e Treviso. Questi itinerari portano nei villaggi dei Cimbri, un’antica popolazione che non viene da terre immaginarie, ma che esiste davvero, con la sua lingua protetta, le abitudini, le architetture particolari delle loro case, i loro mestieri unici. Il mondo si scopre soprattutto camminando.

Fra i suoi prossimi progetti c’è quello di scrivere un libro di favole per bambini che uscirà in febbraio per un’importante casa editrice. Come mai ha deciso di sperimentare questo tipo di letteratura?

Beh, le favole erano forse l’ultima esperienza letteraria che mi mancava. Quindi quando l’editore mi ha proposto di scriverle ho accettato con entusiasmo, anche perché avevo proposto, e così andrà davvero, di raccontare cinque favole legate agli alberi del bosco e cinque agli animali che nel bosco vivono. Animali che però non sono i “soliti” cervi, volpi, caprioli, lupi, già presenti in mille favole, ma libellule, faine, corvi, formiche e vi di seguito. Un’altra cosa interessante, credo, è che racconto in chiave favolistica, cose che in natura, a queste piante e a questi animali, succedono realmente. Insomma, racconto cose vere in chiave favolistica. Magari i primi a leggerle saranno i genitori…