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Cambiare non è solo voltare pagina ma il coraggio di mettere in gioco i propri talenti.

Intervista di Anna Magli a
Daniel Tarozzi, giornalista, scrittore e direttore responsabile della testata “ItaliacheCambia.org”.

Daniel Tarozzi, laureato in Scienze della Comunicazione, ha lavorato come autore televisivo, regista di documentari, videomaker e soprattutto giornalista. Ha fondato e diretto diversi giornali web, tra cui Terranauta, IlCambiamento e il Journal di Fondazione Pistoletto. E’ giornalista e direttore responsabile di “ItaliacheCambia.org“. In tutti questi anni di giornalismo è venuto a contatto con migliaia di esperienze di “cambiamento” reale che popolano l’Italia ma che non trovano spazio nei media. Da queste nasce il progetto di “Viaggio nell’Italia che cambia”: sette mesi in camper per incontrare “chi ha preso la propria vita in mano senza aspettare che qualcuno lo faccia al suo posto”. Dal viaggio – iniziato nel 2012 e di fatto ancora in corso – sono nati quattro libri: due editi Chiarelettere: “Io Faccio così – Viaggio in camper nell’Italia che Cambia“ e “Una moneta chiamata Fiducia“, e due scritti con Andrea Degl’Innocenti, “I Diari dell’Italia che Cambia” e “E ora si Cambia“. Inoltre, il viaggio ha ispirato un documentario, uno spettacolo teatrale e soprattutto un progetto di racconto, mappatura, valorizzazione e messa in Rete dell’Italia che cambia. Il suo ultimo libro, edito da Amrita, è “Cambia-Menti. L’Italia che cambia per cambiare il pianeta: dalla teoria alla pratica”.

Daniele Tarozzi, nei dieci anni di guida del giornale web www.italiachecambia.org di cambiamenti ne devi aver visti parecchi. Nelle storie che hai raccolto quale è stata la molla che ha fatto scattare, nella maggior parte dei casi, la fuga dalla comfort zone verso una vita diversa?
Sono due le cause che spingono le persone a cambiare vita. “Essere libero da” e “Essere libero di”. Chi vuole essere libero “da qualcosa”, che può essere un lavoro che non piace, una città che deprime, una relazione che frustra, una vita che lascia insoddisfatti, spesso reagisce in modo irrazionale e spesso non va verso la vita che sogna ma si limita a fuggire. In alcuni casi può essere utile, perché bisogna “rompere” da una situazione che non ci soddisfa, ma i cambiamenti che funzionano di più sono quelli per “essere liberi di” quindi non liberi da una vita che non ci piace ma libero di realizzare il proprio sogno, di fare il lavoro che amiamo, di costruire una nuova impresa, un progetto agricolo, di andare a vivere in campagna: in sintesi, libero di cambiare. La fuga dalla “comfort zone” è uno dei punti chiave, le persone si bloccano, si terrorizzano all’idea di un cambiamento ma raramente si soffermano a pensare a cosa accade se non cambiano vita. Cosa accade se sei infelice, se i tuoi figli ti vedono sempre frustrat , se fai una vita che non ti piace, se non ti metti in gioco con il tuo talento, con i tuoi sogni, se non agisci per cambiare il mondo. Ci soffermiamo a valutare quali sono i rischi se realizziamo un progetto ma non quelli se non lo realizziamo.

Per quanto riguarda oggi il giornale web che dirigi, ormai una vera bibbia per chi comincia a stare stretto nei panni della propria realtà, a quali principi vi ispirate? Che cosa sono i “Sette sentieri” cui fate riferimento nella vostra visione?
I Setti Sentieri li abbiamo scritti io e Andrea Degl’Innocenti circa 10 anni fa, all’inizio del nostro lavoro: quest’anno è infatti il decennale di Italia che Cambia. Il mio viaggio è iniziato in camper nel 2012, quando è uscito il mio primo libro ( “Io Faccio così – Viaggio in camper nell’Italia che Cambia“ ed. Chiarelettere n.d.r.) Dovevo stare in giro per qualche mese e da allora non mi sono più fermato. In questo primo viaggio, ero partito un po’ all’avventura, con il passaparola, cercando esperienze di cambiamento concreto, positivo e in atto. Ma una volta che il progetto si è allargato, nel 2013 che abbiamo fondato la testata giornalistica Italiachecambia.org, ci siamo chiesto quali fossero i criteri con cui inserire o meno progetti sulla mappa , come decidere se un progetto fosse degno di essere una delle storie di Italia che Cambia, chi scegliere di intervistare ? Allora abbiamo scritto i Setti Sentieri perché non abbiamo voluto definire dei valori, delle regole standard in questo criterio di scelta – Andrea ed io abbiamo scritto anche un libro su questo dal titolo “Il Bene e il Male esistono? – Ci siamo detti che non dovevamo mettere dei veri paletti ma indicare delle strade da percorrere. Cosa sono i Sette Sentieri? Già la parola “sentieri” è abbastanza evocativa e rappresenta, nel nostro caso, dei percorsi che noi raccontiamo : i sentieri , quindi, che le realtà che raccontiamo stanno percorrendo. Questo significa che non abbiamo la pretesa che chi incontriamo sia perfetto, non abbia difetti, non abbia contraddizioni, ma che sia mosso sinceramente dalla voglia di migliorare lo stato della persona, che è il Sentiero 1, della scuola, delle relazioni umane, della salute, del territorio e dell’ambiente , l’economia e la politica. Ecco i Sette Sentieri. Questo non significa che ogni progetto che noi intervistiamo debba lavorare su tutte e sette queste aree, ma il criterio è che non debba fare nulla che danneggi uno di questi sette principi. Ad esempio, se realizza qualcosa di bellissimo a livello ecologico ma sfrutta il lavoro delle persone non va bene : oppure se fa un progetto meraviglioso a livello scolastico ma non si interroga sull’inclusione minoranze non va altrettanto bene. Insomma, se viola uno di questi principi per noi non è un progetto valido. L’altro elemento, è che deve fare qualcosa di positivo, qualcosa “a favore”. Cioè non deve fare nulla contro i Sette Sentieri, deve fare qualcosa di concreto a favore di uno o più Sentieri. Mi rendo conto che è qualcosa di un po’ astratto, difficile da ridurre ad una domanda o una risposta; non a caso il testo dei Sette Sentieri è corposo, ma per noi è fondamentale far capire l’approccio che ci muove, che è la ricerca di persone motivate da una sincera voglia di cambiare in meglio se stessi o il mondo e nel farlo, di non danneggiare se stessi e il mondo. Qualunque sia il l’area scelta per il cambiamento, a noi interessa che ci sia il tema della transizione verso una società più equa, giusta e sostenibile.

Parlaci invece ora di Visioni 2040. Come è stata costruita e soprattutto a cosa servirà il materiale raccolto?
Visioni è stata una grande sfida. Anche su questo io e Andrea Degl’Innocenti abbiamo scritto un libro che si chiama “ E ora si Cambia”, dove abbiamo raccolto le 500 azioni per Visioni 2040 che si trovano anche online sulla testata Italia che Cambia. In cosa consiste? Con Filippo Bozotti e Giulia Minoli ci siamo interrogati su quali potessero essere le soluzioni concrete che possiamo adottare: ognuno di noi è un cittadino, un professionista, un lavoratore o un imprenditore ed anche un “politico” nel senso che si può scegliere di agire senza dover per forza fare politica in Parlamento. Ogni nostra azione ha, infatti, una ricaduta politica. Ci siamo quindi chiesto come agire nella nostra qualità di cittadini su 17 diversi temi, dalla scuola all’agricoltura, dall’ambiente all’alimentazione, all’economia, alla finanza e così via. E poiché non potevamo dirlo noi come giornalisti di Italia che Cambia, abbiamo selezionato i 500 progetti più interessanti che avevamo visto in quel momento, li abbiamo suddivisi in 17 diversi tavoli e fatto fare una serie di incontri durante i quali tutti hanno potuto “sognare” l’Italia 2040 come avrebbe potuto essere nel migliore dei mondi possibili, utopici ma reali, considerando anche tutte le criticità che si sarebbero incontrate come mafia, burocrazia ed altre difficoltà. La domanda era: se tutto andasse bene, come potrebbe essere il nostro Paese nel 2040? E abbiamo sognato insieme. La fase successiva è stata quella di chiedere come avremmo potuto arrivarci a questa Italia da sogno. Ovviamente le risposte erano vincolate alle azioni che avrebbe dovuto intraprendere il Governo. Quindi ci siamo chiesti come avremmo potuto agire noi, come cittadini, professioni , politici, per cambiare le cose in un determinato settore. E da queste riflessioni sono uscite centinaia di azioni che si possono concretamente portare avanti. La cosa meravigliosa è che hanno collaborato tutte queste realtà , che magari fra di loro non vanno per forza d’accordo e la pensano anche diversamente, grazie all’uso della facilitazione, cioè un insieme di tecniche che ti permette di far collaborare persone che la pensano differentemente mettendo al centro ciò che unisce anziché ciò che divide.

Parliamo del tuo ultimo libro, Cambia-Menti. In un’intervista hai detto che hai sentito la necessità di mettere sulla carta le esperienze delle persone anche per aiutare ad affrontare le paure che si incontrano nel cercare di realizzare un sogno o un progetto. Secondo una tua valutazione, dopo tante storie raccolte, qual è l’atteggiamento migliore per predisporsi a cambiare, e quali gli strumenti per combattere le difficoltà che richiedono maggior impegno di energia mentale?
L’atteggiamento migliore per predisporsi a cambiare è porsi di fronte ad un problema non chiedendosi “se” ma “come”. Davanti all’asserto “se posso cambiare” riferito ai progetti più ambiziosi, che sembrano anche i più irrealizzabili, la risposta istintiva è sempre un “no”. Se invece davanti a tutte le domande ti poni con la promessa “come faccio per ” invece che “se posso ”, il no non è previsto e questo attiva proprio un’altra area del cervello. Quindi, non è “si” o “no” ma “come”. Nel “come” , cominci a studiare, ti dai da fare per capire come ci è riuscito chi lo ha già fatto, guardi la mappa di Italia che Cambia e selezioni l’area che ti interessa, vai a trovare chi ha cambiato vita, ti fai raccontare la sua esperienza, assorbi contenuti e conoscenze. Poi, ancora, approfondisci , ti documenti, cerchi simili esperienze all’estero, navighi sul web : cerchi simili conoscenze e le interiorizzi. Poi metti in atto, fai errori, elabori delusioni e sconfitte ma vai comunque avanti e alla fine realizzi il tuo sogno. Gli strumenti per combattere le difficoltà ci sono: l’approccio giusto, l’uso della facilitazione, la ricerca di metodi, la programmazione. A volte noi culliamo il nostro sogno ma non gli dedichiamo mai tempo. Troviamo il tempo per tutto ma per quello che dovrebbe essere il nostro obiettivo più grande, facciamo fatica a trovarne. E allora, almeno mezz’ora al giorno, troviamola! Ci svegliamo prima, leviamo del tempo ai social, decidiamo di dedicare almeno questo tempo ad approfondire il nostro progetto per fare sì che il nostro sogno si realizzi. E questo vuole dire, ancora una volta, studiare, scrivere , documentarsi e, quando possibile, andare a vedere di persona chi ha messo in pratica il cambiamento. Il maggior impegno di energia mentale non lo possiamo evitare ma è un’energia che nutre. Una volta sono andato ad intervistare Danilo Casertano, (ha realizzato con l’associazione Manes i progetti L’asilo del mare, La scuola primaria del mare e del bosco, I maestri di strada n.d.r.) che mi ha detto “questo non è un sogno che consuma è un sogno che nutre”. Un’affermazione bellissima.

Anche Viva il Verde ha raccontato spesso storie di cambiamenti, e ci ha colpito che spesso, quelli che hanno successo non sono i cambiamenti radicali ma quelli che hanno dietro anni di studio, ricerca, sperimentazione. Ti trovi d’accordo su questa “metodologia” per affrontare il cambiamento o ritieni che l’istinto e l’immediatezza siano più efficaci?
Io credo, come ho avuto modo di affermare anche prima, che siano fondamentali lo studio e la programmazione però il rischio per alcune persone è quello di “studiare a vita”. Ci vuole quindi, a un certo punto, anche l’istinto e l’immediatezza. Occorre a volte la capacità di buttarsi. Io dico sempre che ci sono due forze: da un lato l’impulso a muoversi subito, dall’altro quello di programmare all’infinito. Ci vuole equilibrio. Poi molto dipende dall’indole delle persone. E’ vero che chi cambia la sua vita d’istinto, poi molte volte torna indietro. Per esempio si licenzia, non riesce a realizzare il progetto e si ritrova senza nulla fra le mani ed è costretto a cercare un altro lavoro che non gli piace. Però è anche vero il rischio opposto, che è quello di programmare per decenni. Quindi credo che un equilibrio fra questi due atteggiamenti sia la cosa più efficace.