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Area Archeologico Naturalistica di Monte Bibele. L’equilibrio fra Storia e Natura che valorizza il paesaggio.

Intervista di Anna Magli ad Antonio Gottarelli, ricercatore del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna.

L’abitato etrusco-celtico di Monte Bibele, situato nell’Appennino bolognese, venne fondato agli inizi del IV secolo a.C., quando un gruppo di Etruschi occupò il promontorio di Pianella di Monte Savino. Lo studio dei materiali ritrovati nel corso degli scavi ha permesso di delineare un quadro dettagliato della vita all’interno del villaggio. Sul sito è oggi possibile visitare due modelli di abitazioni al vero, realizzate dagli archeologi utilizzando materiali analoghi a quelli dell’epoca, con impalcato ligneo e coperture in canna. Evidenze archeologiche altrettanto consistenti provengono dalla necropoli di Monte Tamburino, relativa ad una comunità di guerrieri celti che occupò l’area del Monte Bibele tra la metà del IV e la fine del III secolo a.C..
I musei e i siti archeologici sono fatti di piccole e grandi storie che si intrecciano: quelle di chi ha abitato i luoghi e quelle di chi, con passione e impegno, insegue le tracce del passato per raccontarle ai visitatori. Dell’aspetto storico del sito ed anche di quello paesaggistico ne parliamo con chi ha dedicato molti anni e molta passione alle ricerche sul Monte Bibele e al suo progetto di valorizzazione, il prof. Antonio Gottarelli,, ricercatore del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna, direttore del Museo Civico Archeologico di Monterenzio e dell’Area Archeologico Naturalistica di Monte Bibele.

Prof. Gottarelli, a quando risalgono le prime scoperte sul massiccio di Monte Bibele?

Il passaggio del fronte, nell’autunno del 1944, e gli intensi bombardamenti sulle difese tedesche disposte sui rilievi, hanno avuto un ruolo fondamentale per le prime scoperte di sepolture della necropoli di Monte Tamburino. Nell’immediato dopoguerra, un gruppo di cacciatori che inseguiva nella neve un tasso ne fecero esplodere la tana presso Pianella di Monte Savino e dalla deflagrazione emersero i primi resti dell’abitato etrusco. Dalla fine degli anni ’60, necropoli e abitato sono stati così oggetto di indagini coordinate da parte della Soprintendenza Archeologica e dal Comune di Monterenzio e, per più di quarant’anni fino all’alba del nuovo millennio, da ininterrotte campagne di scavo della equipe di archeologi dell’Università di Bologna che ancora oggi gestisce i luoghi. Una straordinaria avventura di ricerca che ha avuto compimento nel 2000 con la costruzione del Museo Civico Archeologico di Monterenzio e nel 2015 con la costituzione dell’Area Archeologico Naturalistica di Monte Bibele.

Quali motivazioni geografiche e ambientali possono aver spinto il popolo etrusco a insediarsi in quest’ area?

In realtà le scoperte del Monte Bibele, oltre a quelle avvenute dopo il 2000 sul Monterenzio Vecchio, indicano che la scoperta di questi insediamenti rappresenta la punta dell’iceberg di un popolamento di V-III secolo a.C. fortemente diffuso in tutta la regione appenninica. L’elemento etrusco è una delle componenti di una intensa frequentazione dell’area da parte di popolazioni umbro-italiche, liguri e celtiche che, con vicende alterne, sembrano poter avere in ultimo convissuto nei secoli che intercorrono dalla progressiva espansione dell’Etruria verso la Padania, di cui sono testimonianza le fondazioni urbane di Felsina e di Kainua nella valle del Reno, all’invasione romana degli inizi del II secolo. Certo è che la valle dell’Idice sembra avere costituito nei secoli la vera porta dell’Europa dal mondo mediterraneo verso il mondo transalpino, dato che tutte le grandi invasioni da sud sono passate di qui. Così fu per l’invasione romana, che vide il tracciamento della via consolare Flaminia Minore sul crinale Idice-Sillaro, e così è stato nel corso della seconda guerra mondiale, con le linee di attacco alla Linea Gotica su Bologna.

Su che tipo di risorse naturali potevano contare, come era la loro agricoltura?

La vita del villaggio è stata ricostruita con grande accuratezza grazie al particolare contesto archeologico di rinvenimento. Un incendio accidentale, cagionato da un fulmine, distrusse interamente il villaggio e i suoi abitanti non ritornarono più sul luogo, né vi furono nuove frequentazioni dell’area nei secoli successivi, per cui ogni cosa della vita quotidiana è rimasta conservata negli strati di crollo ed è stata rinvenuta e studiata dagli archeologi. L’economia del villaggio si basava su attività promiscue di agricoltura, allevamento e caccia, con produzione di tessuti, testimoniata da grandi telai verticali presenti nelle case. Una ampia e profonda struttura a “pozzo”, oggi interpretata come nevaia, testimonia l’importanza della caccia e la necessità di conservare per lungo tempo le carni e le pelli degli animali da conciare. La necropoli celtica ha poi restituito importanti sepolture la cui ricchezza ed eterogeneità del corredo dimostra l’attività di mercenariato dei guerrieri che occuparono il villaggio dalla metà del IV secolo a.C.

Nel 2009-2015 è stato finanziato il progetto per la valorizzazione dell’area d’interesse archeologico Naturalistico di Monte Bibele. Come si sono integrati gli scavi e le ricostruzioni nell’ambito dello scenario naturalistico?

L’area archeologica di Monte Bibele e il suo Museo rappresentano innanzitutto una storia che è arrivata al compimento del suo primo, lungo, faticoso, appassionante capitolo, e che si conclude a lieto fine con la concretizzazione di idee troppo a lungo rimaste tali: una passeggiata lungo l’antica via della Carrozza che porta da Quinzano al crinale, un giro per i sentieri in mountain bike, a cavallo, in gruppo o in solitudine, in autonomia o accompagnati da guide esperte, una sosta nel nuovo centro servizi, ma anche un weekend o un soggiorno nel nostro Appennino, alla riscoperta dei suoi tesori culturali ed enogastronomici, della pace di una notte lontana da ritmi frenetici, alla ricerca di un tempo slow per se stessi. Un passato che rivive, un insediamento che ha sì il suo fulcro nel IV e III secolo a.C., quando i Celti e gli Etruschi occupavano la Valle dell’Idice, ma che alcune ricostruzioni di abitazioni di quell’epoca rendono oggi tangibile, un viaggio nelle emozioni che la natura ha trasmesso ai popoli di allora e continua a trasmettere, rendendoci sua parte integrante, portando l’uomo a leggerne ogni aspetto e ad osservare e conoscere ogni suo mutamento, dal cielo alle profondità della terra, tra culti e rituali consacrati.

Con il Parco avete realizzato un centro di accoglienza per visitatori e studenti. Come si contestualizza il centro nell’ambito del parco? Che tipo di accoglienza avete previsto?

In linea con le linee guida del Comitato Tecnico Scientifico, composto da Comune di Monterenzio, dagli uffici del Ministero e dall’Università di Bologna e in accordo con la Direzione di Museo e Area, stiamo lavorando a numerosi progetti di tutela, valorizzazione, comunicazione e mobilità, con particolare attenzione ai servizi che vengono forniti all’interno del Parco a gruppi e scuole di ogni ordine e grado, dedicandoci al completamento dell’allestimento interno delle strutture del Centro Servizi in conformità con il progetto europeo di valorizzazione del territorio.
L’edificio denominato Centro Servizi fornisce i servizi di prima accoglienza: fontana pubblica, bar, servizi igienici, sedute, punto gestione emergenze, infopoint e bookshop. E’ dotato di una sala polifunzionale per mostre temporanee, proiezioni e conferenze/convegni, di una cucina di comunità attrezzata, di angoli ristoro e di tavoli e panche pieghevoli per manifestazioni ed eventi temporanei. Il Centro Accoglienza, terminato nel 2020, offre servizi con docce, una foresteria con ampia cucina per gli ospiti e un rifugio escursionistico con 30 posti letto, atto ad ospitare gruppi di comunità, summer school, campi solari, convegni, eventi temporanei o attività di ricerca sul campo. Le percorrenze all’interno del Parco sono garantite, anche per chi ha ridotte capacità motorie, da un innovativo sistema di mobilità elettrica.

Che tipo d’iniziative trasversali possono essere realizzate tra l’Area d’Interesse Archeologico Naturalistico di Monte Bibele e il territorio circostante? Qualche integrazione tra storia e natura, archeologia e ambiente?

Nel 2017 il Comitato Tecnico Scientifico ha definito le linee guida per un piano di gestione congiunto del museo Fantini e dell’Area di Monte Bibele. È nata così Arc.a Monte Bibele, l’associazione degli archeologi il cui scopo è gestire e promuovere il Parco Archeologico in rete dell’Appennino bolognese, un innovativo modello di conoscenza, gestione e fruizione della storia del paesaggio culturale appenninico. Il concetto di “Parco in rete” è applicato dal Ministero a quei casi in cui aree e musei archeologici non necessariamente contigui siano concettualmente riunificati e resi coerenti da uno specifico progetto culturale. Dunque il Parco in rete dell’Alta Valle Idice, nucleo sperimentale di un più ampio progetto, consta di svariati “nodi”: l’Area Archeologico Naturalistica di Monte Bibele, che musealizza le strutture archeologiche monumentali all’aperto nel loro contesto paesaggistico e naturalistico originari; il Museo Fantini, che ne custodisce i reperti mobili, l’area archeologica di Monterenzio Vecchio, a valenza di ricerca scientifica, l’unità territoriale Alta Valle dell’Idice, quale realtà entro cui tali emergenze sono inserite. Secondo le linee guida dunque, Museo, Parco e territori afferenti, devono far parte di un unico progetto di gestione, in quanto luoghi non contigui e con problematiche proprie, ma concettualmente riuniti e resi coerenti da un unico piano di tutela, valorizzazione e comunicazione che è ispirato da un progetto culturale unitario che coinvolge l’intero territorio appenninico. Dunque il paesaggio storico e naturalistico dell’Appennino come vero patrimonio culturale da tutelare e conservare nel suo insieme, per l’identità futura delle nuove generazioni.

Ritiene che il Museo Archeologico di Monterenzio e l’Area Archeologica di Monte Bibele, in quanto Parco Archeologico in Rete, possano essere considerati sostenibili nell’economia del contesto naturalistico in cui operano?

Più che un singolo Museo, Area Archeologica o Monumento, è dunque il contesto ambientale e storico territoriale entro cui il bene si è costituito il vero veicolo culturale della percezione del nostro essere parte della mutevolezza dello Spazio e del Tempo. Ed è allora nella costituzione di Arche, isole tematiche del sapere, che si gioca nell’immediato la costruzione di un modello gestionale di fruizione del territorio che costituirà la base di una nuova dimensione del concetto stesso di valore del Bene Culturale.
La nostra sfida è la sostenibilità economica di un nuovo modello di gestione del bene culturale che non è, come spesso si è detto, da affidarsi ai manager della comunicazione e del profitto, ma piuttosto a una idea entro cui il bene culturale è parte del suo contesto naturale originario e che coinvolga emotivamente il visitatore nel racconto di chi quel bene lo ha cercato, rinvenuto e valorizzato. Nella narrazione di chi quel bene lo ha rinvenuto, e cioè noi archeologi, il Bene Culturale e la sua Bellezza sono il racconto di un grande patrimonio collettivo del passato che ancora ci appartiene e che tale deve rimanere. L’incredibile sforzo di vita, civiltà, miserie e passioni, di coloro che, prima di noi, hanno provato a confinare l’ineluttabilità del tempo e della morte ad una loro idea dell’aldilà e del destino futuro e questo altro non è che il nostro stesso essere parte presente e consapevole di questo destino. La domanda vera è: quale futuro stiamo costruendo per i nostri figli in un mondo basato su una cultura del profitto che annulla e mercifica ogni identità culturale? La nostra risposta è creare un “profitto” della cultura nell’animo di chi quel futuro lo vorrà avere.