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Intervista di Anna Magli a
Linda Maggiori: ecologista e coach ambientale.

Linda Maggiori è nata a Recanati nel 1981, vive con suo marito e i loro quattro bambini a Faenza (Ra), dove da alcuni anni sperimentano uno stile di vita sostenibile: senz’auto e a rifiuti (quasi) zero. E’ volontaria in varie associazioni che si battono contro l’uso degli inceneritori e a favore della mobilità sostenibile. Lavora come educatrice, è laureata in Scienze dell’Educazione e Servizio sociale.
Linda ha partecipato alla festa dell’Ambiente e della Sostenibilità suo tema “Stili di vita eco-logici” e ha presentato il suo ultimo libro “Questione di Futuro” che parla di come essere cittadini consapevoli, consumare meno e meglio, evitare sprechi alimentari, spostarsi senza inquinare, accogliere e condividere. Ma soprattutto, pensare al futuro, alle nostre famiglie, all’ambiente, al pianeta.

Il tuo ultimo libro sembra riassumere un po’ tutti i concetti a te cari e contiene una serie di linee guida su come attuare uno stile di vita consapevole. Se per te molti comportamenti virtuosi sono la normalità , come pensi che una famiglia abituata ad uno stile di vita consumistico, ma decisa a modificarlo, possa approcciare il cambiamento in termini pratici, iniziando dalle piccole cose?

Nel nostro caso c’è stato un evento di rottura, che ci ha messo di fronte ad una consapevolezza. Dovevamo e potevamo rivedere il nostro modo di muoverci, e quindi, pian piano, sfida dopo sfida, con curiosità e umiltà abbiamo rivisto anche tutto il resto. E’ stato infatti un incidente stradale, 10 anni fa, che ci ha spinto a non ricomprarci l’auto. Da lì abbiamo studiato, approfondito, fatto rete, facendo a meno di tanti consumi inutili anche in altri campi. Abbiamo ridotti a quasi zero i rifiuti, comprato etico, locale, abbiamo rivisto l’alimentazione rendendola quasi vegan, abbiamo ristrutturato la nostra casa rendendola CO2 free.
Non è stato semplice, perché la società spinge al consumismo esasperato. Ma siamo felici e l’abitudine rende tutto più semplice. Abbiamo una bella rete di famiglie come noi e questo è importante quando si va controcorrente. Eppure il nostro stile di vita deve diventare la norma, di fronte alla consapevolezza del riscaldamento globale sempre più grave, dobbiamo tutti fare uno sforzo e la politica deve favorire il cambiamento. Deve rendere i comportamenti virtuosi ed ecologici semplici, convenienti, e in certi casi obbligatori. Non vedo altre soluzioni, è a rischio la stessa sopravvivenza della specie, le temperature di questi giorni sono un grave campanello di allarme e non c’è più molto tempo.

Quali sono i primi scogli da superare e come motivare adulti e bambini al cambiamento?

Spesso gli ostacoli sono più mentali che concreti. Ad esempio l’auto, spesso, è una copertina di Linus, in tanti potrebbero farne a meno e muoversi di più, sia a piedi sia in bici; non lo fanno perché sottovalutano le energie del nostro corpo. Magari si potrebbe noleggiarla solo quando serve, cambiare le abitudini, adattarsi ai mezzi pubblici e spingere le nostre amministrazioni ad aumentarli. Ma non si fa per abitudine, perché si è abituati fin da piccoli a ripetere certi gesti. Sicuramente i politici dovrebbero fare in modo che certi comportamenti, che certi prodotti inquinanti, siano proprio vietati. Perché cambiare la mentalità della gente è un processo lungo, e noi non abbiamo tutti questo tempo. Come motivare al cambiamento? Direi che bisogna partire dai bambini. L’educazione ambientale, lo studio del cambiamento climatico, dovrebbe diventare prioritario e interdisciplinare. Non residuale come ora. Inoltre i bambini dovrebbero trascorrere molto più tempo all’aperto, anche a scuola con outdoor education, ma con un approccio non da dominatori ma da ospiti. Il problema è tutto lì, ci sentiamo dominatori su una natura non vivente, da trattare a nostro piacimento. Questa mentalità antropocentrica mette a rischio la stessa esistenza dell’uomo sul pianeta.

La pandemia, secondo te, ha in qualche modo ha cambiato gli stili di vita verso atteggiamenti più responsabili nei confronti dell’ambiente?

Inizialmente si è rallentato lo stress, diminuiti i consumi inutili, ma poi, non essendoci la consapevolezza che questo problema sanitario è collegato alla crisi climatica, non si è mutato veramente l’atteggiamento verso l’ambiente. Purtroppo molti spingono sulla retorica della ripartenza motorizzata, della crescita economica. Ci sono state conquiste, è vero, finalmente tanti lavori e riunioni si possono fare da casa, rendendo superflui tanti spostamenti (prima anche per una riunione si prendeva l’aereo). Altra conquista, è la liberazione dello spazio in città a favore della gente, togliendo i posti auto, per creare corsie ciclabili o per mettere i dehors dei negozi. Purtroppo non è abbastanza. Vedo ancora poca consapevolezza sul momento drammatico che stiamo vivendo. La pandemia è stata solo un sintomo e non il più grave di un pianeta malato.

La Festa dell’Ambiente e della Sostenibilità cui hai partecipato, ha dedicato parte degli eventi, grazie a Viva il Verde, ad iniziative con lo scopo di sensibilizzare tramite lo sport un fascia più ampia della popolazione. Che funzione educativa può svolgere lo sport, secondo la tua esperienza, nel processo della formazione di una comunità più consapevole?

Lo sport ma più in generale uno stile di vita attivo e non sedentario, è intrinsecamente legato al diritto alla salute, agli stili di vita sani, a un’alimentazione sobria. Fare movimento aiuta la salute, aiuta anche l’ambiente, aumenta anche il tono dell’umore e mette l’essere umano in sintonia con il territorio in cui vive. Lo sport è una sorta di medicina preventiva, perché impedisce l’insorgere di tante malattie “del benessere”: Fare lunghe passeggiate, andare in bici, nuotare, sono azioni benefiche per la salute e l’ambiente. A volte purtroppo accade il contrario, magari si va in palestra in auto, si portano i bambini a fare calcio in auto, anche se magari il campo dista pochi km, oppure si organizzano eventi sportivi che inquinano, pieni di plastica usa e getta, oppure competizioni agonistiche sponsorizzate da aziende molto inquinanti, (penso alle gare di bici sponsorizzate dalle aziende di auto), per parlare dei livelli agonistici di sport molto famosi con tantissimi soldi che girano, che sono un vero e proprio schiaffo alla povertà. Ecco, secondo me, questo modo “capitalista” di concepire lo sport non aiuta l’essere umano a vivere in armonia con la natura e con gli altri esseri viventi.