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Decreto Asset. Il vincolo paesaggistico sui boschi non è stato affatto cancellato.

Intervista di Anna Magli a Luigi Torreggiani collaboratore della Compagnia delle Foreste.

Lo scorso 27 settembre è stato approvato l’emendamento al “Decreto Asset” presentato dal Senatore e Presidente della IX Commissione – Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare Luca De Carlo. La norma descrive le deroghe alla preventiva autorizzazione paesaggistica e esplicita chiaramente che tali deroghe, che fino ad oggi valevano soltanto per i boschi vincolati dall’articolo 142 (Aree tutelate per legge), verranno estese anche ai boschi vincolati dall’articolo 136, ovvero quelli ubicati nelle aree considerate di “notevole interesse pubblico”. Secondo il Consiglio dell’Ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali: “La tutela del bosco, tutte le sue funzioni, si sviluppa tramite i piani forestali e i piani di interesse territoriale. Gli inutili appesantimenti burocratici non servono alla conservazione del bosco con solide basi scientifiche: è questo valorizzare il ruolo e la funzione dei professionisti. Con l’approvazione del decreto è stato riconosciuto il valore unitario delle autorizzazioni ai sensi dei vincoli idrogeologico e forestale per i boschi non soggetti a vincoli paesaggistici per decreto. Oltre ai boschi quindi ne beneficerà l’intera filiera nazionale del legno, l’economia delle aree interne e, riducendo le importazioni, aiuteremo il nostro pianeta.
Di diverso parere sono alcuni piccoli gruppi ambientalisti, che sostengono che il taglio di alberi senza alcuna autorizzazione ha l’obiettivo di rilanciare l’industria del legno, nei boschi, nei parchi, nei giardini senza risparmiare nemmeno gli alberi monumentali e lamentano alcune lacune culturali, scientifiche e concettuali da parte di chi ha proposto il decreto, mentre le principali associazioni ambientaliste non hanno commentato nel merito la norma.
Viva il Verde ha intervistato il Dottore forestale Luigi Torreggiani collaboratore della Compagnia delle Foreste .
Avremmo voluto fornire ai nostri lettori un contraddittorio ma Legambiente, contattata più volte, non ha risposto alle nostre domande.

I difensori del decreto hanno dichiarato che “nessuna legge forestale viene “semplificata”, non c’è alcun tentativo di “deregulation”: si tratta semplicemente di superare una stortura normativa”. Che tipo di stortura?

Occorre fare una premessa. Il vincolo paesaggistico sui boschi non è stato affatto cancellato, così come non è stata modificata alcuna legge forestale e di tutela ambientale. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, fin dalla sua approvazione, prevede che per per eseguire “tagli colturali”, ovvero interventi selvicolturali previsti dalle normative vigenti in materia, non occorra chiedere un’autorizzazione paesaggistica. Questo è logico, perché il paesaggio rurale è il frutto dell’insieme di pratiche agro-silvo-pastorali che lo hanno modellato nel tempo. Come non è necessario chiedere un’autorizzazione paesaggistica per potare un vigneto o un uliveto, oppure per sostituire una coltura agraria con un’altra, il legislatore ha previsto di non dover chiedere autorizzazioni paesaggistiche per le comuni pratiche selvicolturali.

Nella norma questo era esplicitato molto chiaramente dall’articolo 142, ma non era invece stato espressamente citato anche per l’articolo 136, che tutela le aree di “notevole interesse pubblico” all’interno delle quali ricadono anche boschi: ecco la “stortura normativa”, una mancanza chiaramente non voluta dal legislatore per una specifica motivazione.

In queste aree forestali a “doppio vincolo” (Articoli 142 e 136), per anni e anni si è infatti operato senza chiedere nessuna autorizzazione: era chiara a tutti la volontà del legislatore. Tuttavia, da alcuni anni a questa parte, a seguito di esposti da parte di gruppi ambientalisti e del successivo pronunciamento della Corte costituzionale, che ha messo in luce l’incongruenza tra articolo 142 e 136 del Codice, è risultata chiara a tutti la necessità, seppur illogica, di autorizzazione paesaggistica per le aree a doppio vincolo (il 20% circa dei boschi italiani). Questo ha generato notevoli problematiche burocratiche e amministrative: nelle Sovrintendenze migliaia di pratiche intasavano uffici non dotati di personale competente in materia e spesso, molto spesso, tutto si risolveva con un silenzio assenso. Queste autorizzazioni, di fatto, allungavano tantissimo i tempi, ma si risolvevano nella stragrande maggioranza dei casi in un’approvazione degli interventi. Ecco perché il fatto di togliere questo appesantimento inutile, che non forniva alcuna tutela aggiuntiva all’ambiente forestale e al paesaggio, appare una scelta di buon senso, che nulla ha a che fare col una “deregulation” sui temi ambientali.

 

Angelo Bonelli, deputato di Europa Verde, commentando la notizia ha parlato di un “golpe contro la natura”. Lei cosa ne pensa?

Bonelli ha commentato con queste parole tutto un insieme di emendamenti presentati sul Decreto Asset, di cui uno sulla caccia. Considero comunque le sue parole decisamente inopportune, in quanto, ripeto, le leggi forestali e di tutela della natura non sono state minimamente modificate. La tutela del paesaggio non è tutela della natura, si tratta di ambiti differenti. Il paesaggio, come spiega in modo perfetto la Convenzione europea firmata a Firenze nel 2000: “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Il paesaggio da tutelare è quindi un elemento prima di tutto culturale: in Italia è spesso costituito da campi coltivati, boschi gestiti, abitati, manufatti… non a caso le leggi che tutelano la natura e quelle che tutelano il paesaggio sono differenti.

 

In cosa consiste esattamente la norma? Che cosa sarà possibile fare diversamente da prima?

Come ho spiegato, non sarà necessario chiedere un’autorizzazione paesaggistica per realizzare un intervento di normale coltivazione del bosco in quel 20% delle foreste italiane che ricadono sotto il “doppio vincolo”. Nel restante 80% non cambierà nulla, è stato così fino a ieri e continuerà ad esserlo. Comunque sia, per eseguire un intervento selvicolturale bisogna comunque chiedere le autorizzazioni previste dalla normativa forestale e da quella ambientale. Le foreste italiane sono e rimangono tra le più tutelate d’Europa.

 

Colpisce molto questa deroga per gli alberi monumentali, i grandi giganti  riuniti in un decreto del 2017 che ne stila addirittura un censimento. Anche a loro sono a rischio?

Non è affatto così, chi dice questo sostiene una totale falsità. Gli alberi monumentali sono tutelati da una specifica legge, che rimane in vigore e che va rispettata. In Italia era e rimane vietato abbattere un albero considerato come monumentale. Chi lo fa incorre in pesantissime sanzioni, giustamente.

 

Questa non necessità dell’autorizzazione dovrà però essere coerente con le normative vigenti e le previsioni dei piani paesaggistici vigenti. Chi vigilerà?

Vigileranno ovviamente gli organi preposti al controllo: i Carabinieri Forestali, ma anche le Sovrintendenze. Ma il problema difficilmente si porrà: nei Piani paesaggistici la selvicoltura, come l’agricoltura, è pienamente contemplata.

 

Il presidente della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale ha definito la precedente legge “Un vincolo inutile, applicato in modo arbitrario, a volte usato in malafede o in modo ideologico, spesso applicato da personale non adeguatamente preparato, cesserà di fare danni.” Che tipo di danni?

 

Il Presidente Motta ha ragione. I danni erano relativi a lungaggini burocratiche che finivano per mettere in grave difficoltà le imprese boschive, che non riuscivano a programmare il proprio lavoro. Inoltre, c’era anche un danno d’immagine per un settore, quello forestale, che è fondamentale per la bioeconomia e la transizione ecologica: su questa storia del “doppio vincolo”, per anni, piccoli gruppi ambientalisti hanno incentrato una narrazione falsa e offensiva, dipingendo la gestione forestale come il “male assoluto”. Non è così: tutti noi abbiamo bisogno dei servizi ecosistemici che derivano dalla gestione forestale sostenibile, anche chi critica questo settore e poi magari, in casa propria, ha tavoli, serramenti, pavimenti e tetto in legno… 

 

Parliamo delle forme di vita che questi boschi li abitano. Quali problemi potranno derivare dal taglio degli alberi? Parliamo di uccelli, piccoli roditori e tutti quegli animali che abitano gli alberi…

Prima di rispondere ritengo necessario sottolineare che non è certo questa modifica normativa a permettere il taglio di alberi! Le utilizzazioni forestali sono normate da una legge nazionale e da leggi e regolamenti regionali. La modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio semplicemente velocizza le pratiche di autorizzazione sul 20% circa dei boschi italiani. Ma i boschi si sono sempre utilizzati, anche prima e anche nelle aree a doppio vincolo, senza che le Sovrintendenze pretendessero migliorie per la tutela dalla fauna. Del resto, come già sottolineato, tutela ambientale e tutela paesaggistica sono ambiti diversi. 

Comunque sia, le pratiche previste dalle normative forestali contemplano il concetto di gestione forestale sostenibile, una forma di equilibrio che garantisce la produzione di beni e servizi senza la presenza di flora e fauna. Inoltre, molte foreste italiane (il 35% circa), ricadono in aree protette: Parchi Nazionali, regionali o nella Rete Natura 2000. In queste aree, la norma prevede limitazioni e buone pratiche volte a tutelare habitat e specie a rischio. 

C’è il rischio che questa legge possa in un qualche modo creare qualche dissesto ecologico dovuto all’impoverimento degli apparati radicali e quindi frane, smottamenti ecc. ?

Assolutamente no, lo ripeto: questa legge non crea la possibilità di utilizzare i boschi più di prima! Semplicemente toglie un aggravio burocratico, a mio avviso inutile, che rallentava, ma non impediva, le normali pratiche selvicolturali. 

 

Noi siamo grandi importatori di legno. Perché ne importiamo tanto? Da dove viene questo legno?  E’ possibile pensare ad un’economia sostenibile del legno che non sia nello stesso tempo devastante per il nostro patrimonio boschivo?

Siamo grandi importatori di legname per diverse ragioni. Da un lato, abbiamo una grande industria del legno, molto sviluppata e all’avanguardia; dall’altro, per decenni abbiamo scelto di non interessarci alle nostre foreste, non investendo abbastanza sulla pianificazione forestale e la selvicoltura. Così oggi importiamo molto legname dall’estero, sia da opera che da energia. Talvolta questo legno proviene da aree del Pianeta in cui le foreste hanno molte meno tutele delle nostre e questa è una grande ipocrisia di fondo: per tutelare le nostre foreste finiamo per distruggere quelle di altri. La soluzione c’è e si chiama gestione forestale sostenibile. L’Italia da pochi anni si è dotata, finalmente, di una Strategia Forestale Nazionale che è un ottimo punto di equilibrio. Essa prevede di: “favorire foreste estese e resilienti, ricche di biodiversità, capaci di contribuire alle azioni di mitigazione e adattamento alla crisi climatica, offrendo benefici ecologici, sociali ed economici per le comunità rurali e montane, per i cittadini di oggi e per le prossime generazioni”. Un’economia sostenibile del legno è quindi non solo pienamente possibile ma anche auspicabile: questa materia prima rinnovabile ci aiuta a sostituire materie prime e fonti di energia di origine fossile. Il legno è un prezioso alleato della transizione ecologica e la sua produzione, sia in impianti specializzati che in foreste ben gestite, sarà fondamentale nel prossimo futuro.