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Ecoacustica. L’ambiente è anche suoni e rumori. Conoscerli e conservarne memoria è importante.

Intervista di Anna Magli al Dottor Claudio Fossati del Centro Interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche ambientali

La connessione fra bioacustica ed ecologia ha portato allo sviluppo di una nuova disciplina, l’ecoacustica, che studia le interazioni  acustiche fra le specie animali e l’ambiente, includendo anche lo studio dell’impatto del rumore sugli animali, sia in aria sia in acqua. L’ecoacustica si presta anche al monitoraggio acustico ambientale a lungo termine per caratterizzare il paesaggio sonoro degli ambienti naturali e valutare i cambiamenti indotti dagli impatti antropici sia locali che globali, includendo il cambiamento climatico.  Lo studio dei paesaggi sonori permette agli scienziati di esplorare habitat e identificare ciò che li minaccia. L’ecoacustica si può dunque definire come l’insieme di tutti i suoni che provengono da un dato paesaggio e che danno vita a specifici schemi sonori, a seconda dello spazio e del tempo in cui li ascoltiamo. In un paesaggio sonoro ci saranno suoni di natura biologica, ad esempio il canto degli uccelli o il frinire di grilli e cicale (detti biofonia), i rumori prodotti da pioggia, vento, tuoni e altri elementi naturali (geofonia) e suoni e rumori diffusi da noi esseri umani e dalle nostre attività (antropofonia).

Una disciplina relativamente nuova che oggi approfondiamo con un’intervista al  Dottor Claudio Fossati del Centro Interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche ambientali Università di Pavia.

Ci spiega perché Bioacustica ed Ecoacustica sono due discipline strettamente collegate ai temi e agli indirizzi dell’Agenda ONU 2030?
L’agenda ONU 2030 è un documento ambizioso che abbraccia qualsiasi aspetto della nostra vita e della socialità, analizzando ogni nostra attività e progetto a livello globale. La bioacustica e l’ecoacustica qui trovano un loro ruolo perché finalmente, dopo anni che noi ricercatori cerchiamo di far comprendere quanto i suoni e l’ambiente sonoro siano importanti, questo è stato eccepito da diverse leggi a livello europeo. Ne consegue che adesso si utilizza anche l’acustica come un parametro di definizione per la qualità ambientale, sia per quanto riguarda l’ambiente naturale come noi lo intendiamo, cioè l’ambiente selvatico, sia quello della nostra stessa vita.

In che modo l’ecoacustica analizza i paesaggi sonori a diverse scale di spazio e di tempo? Come avviene?
Innanzitutto l’acustica è una parte fondamentale della vita di ogni essere vivente. Noi ce ne rendiamo conto marginalmente e soprattutto nelle situazioni fastidiose: quando siamo in un ambiente rumoroso e non riusciamo a parlarci, quando la notte si fa fatica a dormire … Siamo tutti immersi in un mondo di suoni che noi utilizziamo, anche se il nostro senso principale è la vista, poiché ci muoviamo per immagini. Senza rendercene conto, però, noi facciamo uso dell’acustica, per esempio sentendo e decifrando da che parte viene un rumore, quindi, per strada, se sentiamo arrivare un autobus da destra, noi ci spostiamo istintivamente sulla sinistra. Utilizziamo l’acustica senza neanche esserne consapevoli. Tutti questi insieme di rumori, suoni che classifichiamo secondo la nostra percezione, viene utilizzato da tutti gli animali. La bioacustica, in particolare, studia i suoni degli animali ma anche dell’ambiente in cui vivono gli animali. Ogni animale ha evoluto la sua sensibilità acustica in base all’ambiente in cui vive e noi abbiamo fatto lo stesso. L’ecoacustica, come tutte le altre discipline dell’ecologia – noi sappiamo che la natura funziona perché è un sistema circolare perfetto , ogni anello è concatenato all’altro anche dal punto di vista solo acustico – si dedica proprio allo studio di questa concatenazione chiedendosi perché, ad esempio, un animale emetta certi suoni, in che circostanza, in che condizioni. Il fatto che sia estesa, sia dal punto di vista dello spazio che del tempo, è un elemento che ci può dare informazioni su come evolve un ambiente. Siamo in un periodo di cambiamenti climatici per cui abbiamo specie aliene, specie che migrano da sud verso nord, seguendo il trend delle temperature. Avere delle lunghe serie di monitoraggi acustici, ci permette di verificare – per esempio – che in un’area c’era una certa presenza di animali e attraverso l’analisi dei loro segnali, possiamo certificare una sparizione o un diradamento del gruppo. Questo perché tutti gli animali emettono suoni, anche se noi magari non li percepiamo, perché quando parliamo di “suoni” noi intendiamo la banda sonora che noi riusciamo ad avvertire, a distinguere. Mentre gli animali emettono ultrasuoni: banalmente, un animale grosso produce suoni gravi, al di sotto delle nostre capacità di percezione, mentre un animale piccolo emette suoni acuti che, come quelli gravi, non riusciamo ad avvertire. Quindi, non sentiamo i pipistrelli, non sentiamo le balene ma loro ci sono e cantano parecchio!

Quali sono gli strumenti della bioacustica?
E’ una disciplina relativamente giovane. Una volta si parlava solo di acustica terrestre e si utilizzavano microfoni: per andare ad analizzare gli animali ci vogliono però strumenti più sofisticati che contemplino la gamma di frequenza. Se io, infatti, vado con un microfono normale per registrare i pipistrelli non sentirò assolutamente niente perché il microfono è limitato alla nostra frequenza della voce. Il fatto che si vada a registrare animali con frequenze diverse dalle nostre, implica che lo strumento debba essere diverso. Ci sono poi tanti altri approfondimenti che richiedono strumenti dedicati. Come le parabole, per consentire magari di ascoltare cosa dice quell’airone dall’altra parte della strada. Una volta registrati i suoni, e questo spiega perché dico che l’ecoacustica è considerata una scienza abbastanza giovane, questi devono passare tutti attraverso un computer . Noi, infatti, sentiamo tramite le registrazioni solo una piccola parte di quello che si dicono: l’unico modo per capire che cosa succede è visualizzare su computer lo spettrogramma, cioè trasferire il suono su un’immagine. In questo modo si riesce ad apprezzare tutto quello che con un udito normale non si potrebbe sentire.

E per quanto riguarda gli ambienti marini? Cosa studia e monitorizza la bioacustica nel mare e con quali finalità?
Il mio lavoro si svolge nel laboratorio dell’Università di Pavia fondato dal Prof. Gianni Pavan, che è stato precursore di questi studi a livello mondiale, ed è scomparso prematuramente lo scorso anno. Insieme ai miei colleghi Michele Manghi e Giovanni Caltavuturo in primis, abbiamo raccolto il testimone. Gianni si occupava prevalentemente di terrestre mentre noi ci occupiamo soprattutto di acustica subacquea . Tutto quello che possiamo dire sull’acustica terrestre, lo moltiplichiamo per cento quando si parla di acustica subacquea. Perché in acqua il suono fa centinaia di chilometri. Un ambiente molto più complesso dove tanti animali, come i cetacei, hanno sviluppato il famoso biosonar . Loro, non solo possono comunicare e percepire i rumori, ma riescono a individuare il fondale e le prede. I cetacei sono in possesso di un ecografo, diciamo “in testa”, e riescono a fare l’ecografia di tutto l’ambiente che li circonda . quindi hanno una capacità di investigare l’ambiente, le prede, gli ostacoli molto superiore alla nostra capacità visiva. Noi vediamo la superficie delle cose, loro vedono dentro.

E’ vero che il cervello umano è selettivo, nel senso che ha diversa percezione sonora dei suoni?
Certo: il nostro cervello, per quanto noi umani non ci riteniamo più animali, ma di un livello superiore, deriva dalla nostra storia evolutiva e una volta era importantissimo avere una perfetta percezione dell’ambiente sonoro che c’era intorno a noi. Era fondamentale, per esempio, distinguere il rumore del vento dal fruscio di un leone che stava per saltarci addosso. C’erano, quindi, delle capacità selettive molto importanti, come quelle di riconoscere il canto o il richiamo di molte specie di animali perché voleva dire mettere in tavola la cena. Quindi, noi ci siamo portati dietro questo tipo di sensibilità ma lo possiamo sperimentare anche nella vita di tutti i giorni: un suono fastidioso non deve essere per forza intenso. Come il classico rubinetto che gocciola , un suono che ci tiene svegli tutta la notte anche se flebile. Noi ci abituiamo a vivere in ambienti rumorosi, non ci facciamo neanche più caso ma a livello fisiologico questo ha un grosso effetto sulla nostra salute. Anche se non ce ne rendiamo conto…

Fra i vostri progetti c’è anche quello di conservazione dei paesaggi sonori terrestri con un laboratorio dedicato ai paesaggi sonori e all’ecoacustica…
Come una volta si faceva , ma si fa ancora adesso, un erbario per catalogare le piante e le specie vegetali che vivevano in un certo luogo, adesso c’è la possibilità di registrare ed archiviare una serie di dati sonori e quindi, in un certo modo cristallizzare e mettere da parte la memoria di un rumore di un territorio . Non solo della natura ma anche umani, come per esempio un campanile che scandisce le ore. Sono suoni che dimostrano la trasformazione dell’ambiente naturale sotto gli occhi nel tempo, cambia anche l’ambiente acustico. Quindi conservare i suoni di una volta, naturali o umani che siano, è veramente importante.