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L’educazione è la migliore arma contro lo spreco.

Intervista di Anna Magli
al Prof. Andrea Segrè, agronomo ed economista italiano,
professore di Politica agraria internazionale.

Intervista al Prof. Andrea Segrè, agronomo ed economista italiano, professore di Politica agraria internazionale e comparata presso l’Università di Bologna di cui è stato preside dal 2005 al 2012.
Nel 2012 è stato eletto direttore del nuovo Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari, nel 2015 diventa presidente della Fondazione Edmund Mach-Istituto Agrario San Michele all’Adige. Attualmente è presidente del Centro Agroalimentare di Bologna (CAAB) e della Fondazione FICO per l’educazione alimentare e la sostenibilità. Nel 1998 ha ideato il progetto di ricerca Last Minute Market ora impresa sociale spin off accademico dell’Università di Bologna e iniziativa di riferimento nazionale ed europea per la prevenzione e il recupero a fini solidali dello spreco alimentare e non alimentare. Nel 2010 ha ideato la campagna europea di sensibilizzazione “Un anno contro lo spreco” – oggi Campagna Spreco Zero che si identifica con un vasto movimento di impegno per la riduzione e la prevenzione dello spreco alimentare. Nel 2014 viene nominato presidente del Comitato tecnico-scientifico del Piano Nazionale di Prevenzione Rifiuti (PNPR): in questo ambito ha ideato la “Giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare” che si è tenuta per la prima volta il 5 febbraio 2014 e da allora si svolge annualmente nello stesso giorno.

Prof. Segrè con la pandemia sembravamo tutti essere diventati meno spreconi e consumatori più consapevoli. Ora, dopo solo due anni, questo risultato pare sia stato vanificato dai nostri più recenti comportamenti. Il rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International di Last Minute Market / campagna Spreco Zero, elaborazione Università di Bologna su monitoraggio Ipsos infatti, per l’anno 2022 parla di una crescita media del 15% di spreco di cibo rispetto alle precedenti rilevazioni. Come si spiega questa inversione di tendenza?
Waste Watcher è l’Osservatorio sugli sprechi alimentari che ho ideato per la Campagna Spreco Zero nel 2013, dall’anno scorso l’abbiamo reso internazionale prendendo in esame oltre all’Italia anche altri 7 Paesi, una sorta di Waste-8. I suoi obiettivi sono di rilevare gli sprechi, studiarne le cause sociali e comportamentali al fine di generare conoscenza e supporto alla progettazione di azioni volte alla riduzione dello spreco alimentare delle famiglie. Durante il lockdown abbiamo effettuato le rilevazioni immaginando che ci potesse essere un cambiamento nei comportamenti alimentari. In effetti, la chiusura domestica forzata ci ha fatto comportare tutti o quasi, come se avessimo fatto un corso accelerato di economia domestica o come diremmo oggi di educazione alimentare. La pandemia costringeva a uscire di casa e fare la spesa in modo mirato, programmando bene i tre pasti quotidiani, nelle quantità necessarie al nostro sostentamento. Una spesa mirata, per i tempi concessi e la paura del contagio, però del tutto razionale. Essendo per cause di forza maggiore a passare la giornata in casa il tempo dedicato alla cucina acquistava valore rispetto a quello solitamente utilizzato. C’era una maggiore consapevolezza del cibo presente in dispensa e in frigorifero, delle sue scadenze, e l’opportunità di dedicare tempo e attenzione all’utilizzo degli avanzi. Tutto questo ha portato a un calo significativo negli sprechi. Un trend che ci aspettavamo, e che speravamo, si mantenesse una volta finita l’emergenza, qualcosa che si fosse sedimentato nelle abitudini alimentari e invece no. Siamo usciti dal lockdown e abbiamo ripreso le vecchie abitudini che ci ha riportato a quel 15% in più di spreco, che non è tantissimo ma nella stima complessiva di quello che gettiamo via (600 gr pro capite a settimana quindi circa 31 kg a testa ogni anno) determina un problema. Quel 15% in più pesa non tanto per la differenza ma per la composizione. Quando dentro il rifiuto troviamo il pane, la frutta, la verdura, il latte, ci si rende conto che si sta gettando via alimenti che hanno un alto valore nutrizionale. Quindi anche la classifica del nostro rapporto internazionale, dove si vede che gli italiani sono i più virtuosi (clicca qui per leggere) , non è poi un dato di cui andare così orgogliosi, perché se esaminassimo il contenitore della spazzatura troveremmo cibo ancora in ottime condizioni. L’obiettivo Spreco Zero che noi ci siamo posti è ancora molto lontano.

Quali sono, Prof. Segrè, gli alimenti che buttiamo via di più? Oltre lo spreco, possiamo anche dire che questo tipo di rifiuto aggrava la situazione ecologica causando una qualche forma di inquinamento?
Nella nostra “hit parade” dello spreco (clicca qui per leggere) i prodotti che buttiamo sono proprio quelli che hanno maggiore valore nutrizionale: frutta, verdura, pane, latte. La spiegazione è che la frutta e la verdura sono alimenti facilmente deperibili e questo ci porta a un’ulteriore riflessione sulle nostre modalità di acquisto. Chi lavora e fa la spesa una volta la settimana, magari il sabato, rischia che il sabato dopo, se non conserva al meglio il prodotto acquistato o se non ha quantificato correttamente quanto e cosa comprare, qualcosa della sua spesa vada sprecato. Se si potesse andare a fare la spesa ogni giorno almeno per i prodotti deperibili, sarebbe l’ideale. Bisognerebbe imparare a regolarsi ma non tutti hanno questa capacità. Per quanto riguarda l’ambiente, lo spreco alimentare è il terzo inquinatore, ovvero produttore di gas che alterano il clima e che determinano il riscaldamento globale, a livello mondiale. Secondo una ricerca della FAO, lo spreco alimentare, interesserebbe ogni anno oltre il 30% del cibo prodotto a livello mondiale, impattando sull’ambiente con oltre 4,8 miliardi di tonnellate di gas serra rilasciate. La Cina, si ferma appena sotto i 10 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno, gli Stati Uniti d’America, secondi superano di poco i 5 miliardi. Al terzo posto c’è l’India con 2.5 miliardi di tonnellate annue. In pratica, quello prodotto dallo spreco alimentare è come se fosse il terzo Paese per il tasso d’inquinamento al mondo. Non sono bastati gli appelli del Papa sul fatto che sprecare il cibo è un comportamento non etico. Qualcosa in più ha ottenuto forse il nostro libro “Il Metodo Spreco Zero” (Rizzoli), in cui si evidenzia che ogni anno buttiamo via quasi 500 euro pro capite nello spreco del cibo. Insomma lo spreco alimentare ha un impatto sul clima, l’economia, la società, e anche sulla salute in definitiva se pensiamo anche a quello che definiamo spreco calorico o metabolico, ovvero il fatto che una parte della popolazione non solo italiana mangia troppo e male. L’eccesso di calorie “cattive” si traduce in malattie cosiddette metaboliche (cardiovascolari, diabete…) che hanno un impatto sulla nostra salute e sulla spesa sanitaria, peraltro oggi sotto grande stress causa pandemia.

Si è molto parlato di educare i bambini fin dalla materna verso un consapevole consumo del cibo affinché diventino adolescenti e giovani adulti responsabili. Lei crede in questo tipo di educazione?
Da più di dieci anni lavoriamo sull’educazione alimentare e abbiamo impostato la campagna di “Spreco Zero” del 2010 nella promozione dell’educazione alimentare fin dalla primissima infanzia. Nell’indagine internazionale di Waste Watcher presentata lo scorso anno a Roma l’introduzione nelle scuole di programmi di educazione alimentare ha riscontrato interesse ovunque. In altre parole abbiamo consapevolezza di cosa dovremmo fare per mangiare meglio e non sprecare: dobbiamo essere più educati al cibo. Ciò che manca è soprattutto l’intervento a livello istituzionale. Ho avuto occasione di parlarne con molti ministri in questi dieci anni: nessuno ti dice “no” però poi nel concreto non si fa nulla. Nell’educazione civica o alla cittadinanza, le famose 33 ore all’anno dedicate, non troppe per la verità, il cibo non viene trattato. Ci sono altri temi importanti come l’educazione digitale, l’educazione alla sostenibilità con l’Agenda Onu 2030.
Credo che dovremmo investire di più sul valore del cibo, il fatto che l’alimentazione abbia un impatto sulla mia salute – basta pensare al tasso di obesità infantile nelle nostre scuole – la conoscenza delle catene produttive del cibo, perché certi cibi costano poco e quali sono le criticità che questo comporta. Questo tipo di educazione è ampiamente sottovalutato, una situazione di disinteresse che deve creare apprensione. Siamo oppressi dai temi relativi alla salute, al Covid, ai costi della sanità e la cosa più importante che potremmo fare, rendere la nostra popolazione più resiliente insegnando loro a mangiare bene, non la stiamo facendo. Basta vedere il livello di obesità che c’è nel nostro paese: specialmente nelle fasce adolescenziali e soprattutto al Sud.

Lei ritiene che le informazioni sulle etichette siano adeguatamente chiare ed “oneste” nei confronti del consumatore? E’ vero, per esempio, come ha dichiarato a Viva il Verde Vincenzo Fogliano, Food Scientist e Direttore del dipartimento di Food Quality & Design dell’Università di Wageningen, che molti prodotti come pasta, legumi e carne in scatola hanno date di scadenze fin troppo brevi rispetto all’effettiva deperibilità del prodotto?

A tale proposito si sta discutendo molto ultimamente a livello legislativo sulla necessità di togliere la data di scadenza da alcuni alimenti… Cosa ne pensa?
Dal punto di vista normativo le scadenze che siamo abituati a leggere in Italia sono: “da consumarsi entro..” e “ da consumarsi preferibilmente entro…”. In sintesi e semplificando: la prima dicitura riguarda prodotti freschi come ad esempio lo yogurt, indica una scadenza perentoria; nel secondo caso si tratta di prodotti, come per esempio pasta o biscotti, dove la scadenza viene garantita dal produttore nel senso che fino ad una certa data se lo conservi correttamente il prodotto mantiene tutte le sue caratteristiche organolettiche. Anche qui entra in campo l’educazione alimentare. Se uno si informa, sa che il giorno dopo la scadenza dello yogurt tutti i fermenti lattici non si suicidano contemporaneamente! Ma, tramite le competenze acquisite con l’educazione alimentare, è consapevole che c’è un decadimento dei fermenti: lo yogurt diventa un po’ più acido ma si può ugualmente mangiare entro certi limiti temporali ovviamente. Insomma c’è per così dire una tolleranza legale in base ai prodotti: e non vale la stessa cosa per la mozzarella o per un altro prodotto fresco. Il prodotto “preferibilmente entro” è diverso: gli spaghetti di marchi commerciali differenti possono avere un ciclo di vita nello scaffale in base a diverse scelte commerciali. Se le confezioni vengono conservate in modo corretto si può anche andare oltre quella data. Anche se a livello europeo ne stiamo discutendo in realtà, non c’è bisogno di una nuova normativa, basterebbe insegnare a tutti a comprendere quelle attualmente vigenti e fornire maggiore consapevolezza e conoscenza. Come diceva il prof. Fogliano, queste scadenze sono spesso motivo di spreco: noi stessi abbiamo rilevato con Waste Watcher che effettivamente molti, soprattutto i giovani, interpretano la data di scadenza in modo perentorio e non si pongono neanche il problema, o il dubbio, che in realtà consumare dopo quella data forse si può. Tuttavia con la sicurezza alimentare è bene non giocare.

Tutte le aziende alimentari sono concentrate sul tema della sostenibilità. Come possono le aziende alimentari, nella sua opinione, diventare sostenibili? Quali scelte dovrebbero fare?
Quello che manca è il coinvolgimento delle persone. Si è visto che il nuovo modello di business va in quella direzione e tutti lo seguono. Basta vedere quante aziende negli ultimi anni producono il cosiddetto bilancio di sostenibilità che fino a qualche anno fa non esisteva proprio. Come 20 anni fa faceva capolino il bilancio sociale. Io l’ho conosciuto quando abbiamo attivato il Last Minute Market e la prima impresa che lo ha adottato ci ha detto “Noi facciamo del bene alla società donando le eccedenze”. Adesso il bilancio sociale è diventato prassi, non è più distintivo. In realtà ciò che dovrebbero fare le aziende, ma anche le istituzioni dovrebbero farlo, è coinvolgere i dipendenti, i cittadini. Abbiamo un progetto che deriva da Waste Watcher, di cui presto presenteremo i risultati, che mira proprio a coinvolgere i dipendenti delle aziende e le loro famiglie coinvolgendole direttamente nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU. Che cosa fanno le persone a livello individuale e familiare? Ci siamo chiesti. Così abbiamo realizzato Waste Watcher “aziendale” dove ogni famiglia dei dipendenti misura lo spreco domestico. Con l’elaborazione dei risultati vediamo, rispetto al campione nazionale, a quanto sono arrivati e sostanzialmente dove sbagliano. Ogni anno ci poniamo un obiettivo di riduzione di un tot percento in modo da arrivare a dimezzare lo spreco domestico entro il 2030 con semplici azioni correttive: tipo imparare a come leggere le scadenze dei prodotti e non gettarli via inutilmente. Insomma abbiamo trovato un modo per coinvolgere le persone direttamente dando anche una misura e facendo capire soprattutto che i risultati portano un vantaggio personale e collettivo: meno rifiuti, meno inquinamento, più risparmio, più salute, eccetera.

Come sta andando il Last Minute Market e quanto ha risentito della pandemia in termini di raccolta?
Purtroppo sta andando bene e dico purtroppo perché nella mission di questa impresa sociale, spin off dell’Università di Bologna, c’è lo Spreco Zero ovvero l’autodistruzione! Quando poi azzereremo lo spreco ci inventeremo qualcos’altro da fare. Però la strada è ancora lunga, almeno guardando i dati che elaboriamo. C’è infatti ancora molto da recuperare ma in confronto al passato c’è molta più domanda, gli indigenti con la pandemia sono aumentati in modo esponenziale, e meno da recuperare perché le persone stanno più attente. Ma anche i supermercati stanno cambiando metodo e adottano tecniche di sconto sul deperibile che prima non applicavano. Insomma, nel mercato dell’ultimo minuto c’è più domanda e meno offerta. Last Minute Market è una piccola impresa che vuole dimostrare una cosa secondo me importante: che si può coniugare sostenibilità con solidarietà. Un modo per mettere insieme il contrasto ai rifiuti con la solidarietà. Solo a Bologna si poteva realizzare, o meglio poteva prendere forma visto che oramai si è esteso in tutta Italia. Qui c’è una cultura particolare dove sostenibilità e solidarietà stanno bene assieme.